Non riesce a trattenere le lacrime mentre si sfoga ai microfoni di È sempre cartabianca la 27enne orginaria del Bangladesh, ma in Italia da quando aveva quattro anni, che aveva trovato il coraggio di denunciare il marito connazionale dopo aver subito anni di violenze. La richiesta d'aiuto alle autorità italiane non ha purtroppo portato a ciò che sperava, perché il coniuge è stato addirittura assolto.
Era il 2019 quando la giovane aveva deciso di denunciare il coniuge, scoprendo però di non essere creduta. Malgrado le accuse per violenza e maltrattamenti nei confronti del marito, la procura aveva chiesto l'archiviazione del procedimento. Il gip aveva allora disposto l'imputazione coatta per continuare il dibattimento sulla vicenda, trovando infatti elementi idonei a portare l'accusa in giudizio. Il pm, però, ha richiesto l'assoluzione, affermando che "i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della parte offesa da parte dell'odierno imputato sono il frutto dell'impianto culturale e non della sua coscienza e volontà". Prima dell'ultima udienza, quella tenutasi lo scorso 17 ottobre, ha però cambiato la formula in "perché il fatto non sussiste". E il giudicie si è espresso con l'assoluzione.
Il racconto choc
A seguito della decisione del tribunale di Brescia, che ha assolto Hasan Mb Imrul, la donna trova il coraggio di parlare e lo fa ai microfoni di È sempre cartabianca. "Dopo la morte di mio padre – avevo 17 anni – sono andata in Bangladesh per i funerali, e gli zii hanno convinto mamma a farmi sposare. Da lì inizia la mia vita da sposa-bambina", esordisce, visibilmente molto scossa. Un vero e proprio inferno, quello vissuto durante il matrimonio. Venduta in moglie per 5mila euro al cugino, così riporta il Giornale di Brescia, la 27enne ha subito minacce, maltrattamenti continui e violenze, come spintontoni o tirate di capelli. Con la voce rotta dal pianto, racconta anche delle violenze sessuali. Il coniuge, stando a quanto lei dichiara, la sedava per poi abusarla mentre dormiva. Proprio una di quelle maledette notti, la 27enne si sveglia nel letto, accorgendosi di avere il marito sopra di lei, si ribella e per questo viene picchiata. Da qui la telefonata alle forze dell'ordine, ma nessuno interviene.
"Sono andata anche dai carabinieri, ma non sono stata creduta", spiega la giovane. "La pm mi ha convocata, ha visto la foto dello schiaffo e ha commentato: 'Ma questa è una sculacciata che si dà a un bambino'". Insomma, l'episodio sarebbe stato banalizzato. "Le ho detto che (mio marito, ndr) mi aveva obbligato a prendere le pastiglie, e la pm mi risponde: 'Ma perché non gli hai morso il dito?'. E poi mi dice: 'Ma come fa un marito a violentare la propria moglie?'".
"Forse era meglio morire"
Nel documento redatto dalle autorità si parla di "condotta episodica maturata in un contesto culturale, quello della comunità di riferimento". Il coniuge violento, in sostanza, pare essere giustificato per la sua cultura, anche se la 27enne non ha mai accettato quei comportamenti, anzi, ha addirittura denunciato. Eppure, pochi giorni fa, è arrivata l'assoluzione.
"Nessuno mi ha mai creduto, nessuno", commenta la giovane, piangendo. "Forse era meglio morire. Forse se morivo mi credevano. Oppure se andavo all'ospedale. Cosa dovevo fare di più?". Parole dolorose, agghiaccinati, che però esprimono chiaramente lo sconforto e la paura della 27enne. Ci vuole coraggio per denunciare le violenze subite, ed è la stessa protagonista di questa vicenda a dirlo. Ma cosa accade quando a questa prova di coraggio viene risposto con l'indifferenza?
"Stabilire oppure richiedere un'assoluzione per un movente culturale è una negazione di un diritto", spiega a È sempre cartabianca l'avvocato Valentina Guerrisi.
"Non esiste alcuna motivazione culturale che possa giustificare una violazione dei diritti. Il fatto sussisteva, ma il giorno dell'udienza il pm ha modificato la propria richiesta chiedendo un'assoluzione perché il fatto non sussiste".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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