Voce e grafia. Si apre la "pista di Boston" su Emanuela Orlandi

Nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi si potrebbe aprire la "pista di Boston": e spuntano altre ragazze e donne dal destino misterioso come Mirella Gregori

Voce e grafia. Si apre la "pista di Boston" su Emanuela Orlandi
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La Banda della Magliana, la pista inglese, la pista turca: ora nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi c’è chi ventila sempre di più la possibilità di una “pista di Boston”, corroborata da una testimonianza che appare attendibile, a fronte di un’altra da tempo giudicata invece inattendibile.

In un articolo sul Corriere della Sera, il giornalista Fabrizio Peronaci torna sulla conferma di una donna che, in una rivendicazione audio del dicembre 1983 inviata a un giornalista di Boston, avrebbe “prestato” la voce per leggere un comunicato di rivendicazione relativo al rapimento del 22 giugno 1983 della 16enne cittadina vaticana. La donna, che oggi ha 59 anni e sarebbe una residente alto-borghese di Roma Nord, sarebbe stata coinvolta senza avere la consapevolezza di cosa si trattasse in realtà. Alla 59enne sono state chieste informazioni dagli inquirenti nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio e il trafugamento del corpo di Katy Skerl, uccisa nel 1984: secondo Peronaci è possibile che a questo punto i casi di Orlandi e Skerl vengano unificati, naturalmente come già accaduto per la scomparsa di Mirella Gregori.

Dalla loro gli inquirenti hanno del materiale su cui indagare. Richard Roth infatti, il giornalista che ricevette la rivendicazione audio, fu il destinatario di quattro messaggi ricevuti tra il settembre e il dicembre 1983, tutti scritti a penna - si ipotizzò vergati da una donna giovane per via della grafia e in un linguaggio morfologicamente e lessicalmente ostico. Secondo quanto stabilito all’epoca delle prime indagini, il linguaggio sarebbe stato finalizzato ad apparire un depistaggio agli occhi dell’opinione pubblica e quindi a mantenere segreti i presunti negoziati. Tuttavia non sarebbe la prima volta nella storia d’Italia che criminali o terroristi ricorrano a linguaggi settari per comunicare all’esterno, spesso mescolando codici dall’apparenza alti a caratteristiche che riguardano il cosiddetto italiano dei semi-colti (come per esempio il posporre il nome al cognome quando si cita una persona).

In una delle lettere ricevute dal giornalista statunitense era richiesta la liberazione di Mehmet Ali Agca, che nel 1981 aveva attentato, fallendo, alla vita di Papa Giovanni Paolo II. In un altro si parlava di Mirella Gregori, in un altro ancora veniva citata la “soppressione in data 5-10-1983” di una donna, e infine nell’ultimo si faceva riferimento all’anticomunismo del pontefice e al Banco Ambrosiano. In più il giornalista ricevette un cartoncino con un codice alfanumerico mai decodificato, con la scritta “795-RNL”, le cui consonanti sono presenti nel cognome Orlandi, quasi si trattasse di parte di un codice fiscale.

All’epoca il giudice Domenico Sica stabilì, attraverso perizia grafologica, che i messaggi ricevuti da Roth erano stati scritti dalla stessa mano che aveva inviato una missiva anche alla mamma di Mirella Gregori e un comunicato su Emanuela Orlandi nascosto in un furgone Rai. Il tutto quindi fu ritenuto credibile, anche alla luce del fatto che in effetti un’altra donna morì - sebbene a seguito di un incidente domestico - il 5 ottobre 1983: si trattava di Paola Diener, 33enne figlia di Joseph Diener, capo-custode dell'Archivio segreto vaticano.

Il fotografo Marco Accetti, che si autoaccusò di essere coinvolto nel caso Orlandi senza essere creduto - disse tra l’altro di essere in possesso del flauto della 16enne, ma lo strumento in questione era molto simile tuttavia non quello della scomparsa - affermò che Diener, così come Orlandi e Gregori, era stata attenzionata dai rapitori per esercitare pressioni sull’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini e sull’avvocato Gennaro Egidio, che assisteva le famiglie Orlandi e Gregori.

Accetti affermò inoltre che a scrivere quei biglietti sarebbe stata una giovane a lui vicina, così come vicina sarebbe stata anche colei che i messaggi li inviò da e per Boston.

Si è supposto che la prima fosse una donna di nome Patrizia, mentre la seconda avrebbe potuto essere l’allora moglie di Accetti, che soggiornò a Boston proprio in quel periodo: entrambe però hanno smentito seccamente il loro coinvolgimento.

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