«Superata? Ma io non l'ho mai superata. L'ho capito nello stesso momento in cui ho sentito della vicenda capitata in Liguria al collega, pugnalato dal giovane marocchino che era in compagnia della minorenne. Ecco, la mia ferita si è subito riaperta, ho ricordato tutto quello che mi era successo quel giorno».
La sua storia la conoscono tutti e nel tempo è diventata emblematica. Era la sera dell'11 giugno 2015 quando il capotreno Carlo Di Napoli, ora 41 anni, venne aggredito a bordo di un convoglio TreNord partito da Rho con destinazione Milano Rogoredo da un gruppo di giovani sudamericani saliti alla stazione di Villapizzone (periferia nord della città) a cui aveva chiesto il biglietto e che ne erano sprovvisti. Non si trattava di un gruppo di ragazzi qualunque, bensì di salvadoregni della gang MS13, una delle bande giovanili latino americane più pericolose. Il controllo di routine, con la richiesta di scendere dal convoglio e di pagare il titolo di viaggio, finì nel sangue. Uno dei salvadoregni, Josè Ernesto Rosa Martinez, estrasse infatti un machete e si scagliò contro Di Napoli che, per le ferite ricevute, rischiò l'amputazione del braccio sinistro. Il collega ferroviere Riccardo Magagnin, intervenuto in sua difesa, fu invece massacrato con calci e pugni. Un'aggressione ripresa dalle telecamere, con l'arresto della banda e i processi per tentato omicidio.
La vicenda giudiziaria del capotreno si chiuse dopo le condanne dei suoi assalitori, rese definitive dalla Cassazione nel 2018.
Di Napoli rinunciò a far valere un proprio diritto, perché decise di evitare una successiva battaglia in sede civile che si sarebbe tradotta per lui in spese legali da sostenere senza alcuna possibilità concreta di ottenere giustizia. La provvisionale stabilita dai giudici - 50mila euro a favore di Di Napoli e 20mila euro per Magagnin, entrambi parti civili - infatti non è stata mai versata dagli imputati, che non hanno mai fatto avere neanche un acconto. E non solo: non si sono mai scusati con le loro vittime. Nemmeno un gesto di pentimento da parte di Martinez, condannato a 14 anni. E neanche dal complice Jackson Lopez Trivino detto «Peligro» (Pericolo), che ha picchiato il ferroviere Magagnin, ottenendo la pena più alta, 16 anni. Undici anni e 4 mesi a Andres Lopez Barraza, ritenuto il proprietario del machete. Altri tre ragazzi, invece, furono assolti. Le pene, poi, vennero ridotte nel processo d'appello, scontando due anni a testa per l'esclusione dell'aggravante dei futili motivi. E, infine, confermate dalla Cassazione.
Di Napoli
oggi lavora ancora per TreNord ma non più sui treni e preferisce non rilasciare dichiarazioni. Ma una cosa, quando insistiamo, ce la dice: «In Italia serve un maggiore senso civico. Oltre naturalmente a pene certe e sicure».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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