"Le ha rubato l'identità, non la voce". Così si è tradito il killer di Carol Maltesi

Andrea Tortelli è il giornalista che ha dato un grosso aiuto nell'indagine sull'attrice hard fatta a pezzi e messa in un frigorifero a Rescaldina (Brescia). Così ha capito che Davide Fontana le aveva rubato l'identità

"Le ha rubato l'identità, non la voce". Così si è tradito il killer di Carol Maltesi

Un giornalismo attivo, militante e rispettoso. È quello cui ha fatto appello Andrea Tortelli, redattore di BsNews.it che ha avuto un’intuizione fondamentale nel femminicidio di Carol Maltesi: il giornalista è infatti riuscito a confrontare i tatuaggi dell’attrice, presenti su Internet, con l’elenco diffuso dai carabinieri nei giorni successivi al ritrovamento del corpo smembrato e mutilato di una donna in provincia di Brescia. E nel tentativo di cercare Maltesi, nota anche con il nome d’arte di Charlotte Angie, ha chattato con il suo assassino.

Maltesi è stata uccisa presumibilmente l’11 gennaio 2022: a quella data risalgono le sue ultime telefonate che la donna avrebbe scambiato con alcuni conoscenti. Il suo corpo, che era stato fatto a pezzi e messo in un frigorifero, è stato ritrovato solo il 20 marzo successivo in provincia di Brescia. Viveva a Rescaldina ed era un’attrice hard molto seguita su OnlyFans. Per il suo omicidio ha confessato Davide Fontana, con cui aveva avuto una relazione e che di tanto in tanto aveva un ruolo nei suoi film. Fontana ha affermato di aver ucciso Maltesi proprio durante una scena. La storia di Charlotte Angie e di Carol Maltesi è in un libro, Sulla tua pelle, scritto appunto da Andrea Tortelli ed edito da Giunti e di cui il Giornale.it ha già pubblicato un estratto. “Un femminicidio atroce, maturato nel contesto della ‘affollata solitudine ai tempi dei social’”, dice Tortelli in un'intervista con il nostro giornale.

Tortelli, com’è arrivato alla notizia, poi pubblicata solo parzialmente per rispetto e per non intralciare la giustizia?

“Sabato 26 marzo 2022 lavoravo dal telefono in cucina. Ero con mio figlio che mi ronzava intorno, mia moglie era al lavoro. Mi arrivò un messaggio da un lettore: diceva di aver ascoltato il programma di Cruciani (La Zanzara, ndr), e in una puntata era stata ospite un’attrice, Charlotte Angie appunto, che aveva descritto tatuaggi simili a quelli contenuti nell’elenco stilato dai carabinieri a seguito al ritrovamento di un corpo in quei giorni. Non pensavo, all’inizio, fosse una reale segnalazione, e poi ero lì col bimbo: dovevo decidere in fretta se dedicarmi a un fine settimana di relax casalingo in famiglia o lavorare”.

E ha deciso di lavorare.

“A un primo riscontro ho trovato subito delle coincidenze, che poi sono aumentate. Ho chiamato colleghi che avevano avuto contatti con Carol Maltesi, arrivando a un identikit con peso, altezza ed età che in effetti corrispondevano. E i tatuaggi identici erano 8 su 11: mi sono procurato il numero dell’attrice per un’ultima verifica. C’era una possibilità su 10 milioni che due donne avessero tatuaggi identici, ma magari era la sua migliore amica. Il cellulare era spento, così ho mandato un messaggio WhatsApp. Messaggio a cui Maltesi, che in realtà era Fontana, ha risposto”.

Whatsapp però è un'app con cui si può chattare con un computer da cui è stato effettuato il login precedentemente, anche se lo smartphone è spento. Quindi ha avuto il dubbio che stava chattando con l'assassino.

“Avevo un ragionevole dubbio, ma non una certezza. Se Carol Maltesi non mi avesse risposto, avrei capito che qualcun altro stava usando il telefono, verosimilmente l’assassino. Così ho sollecitato la risposta a una chiamata o un messaggio vocale per avere una prova, ma non è mai arrivato. Ho anche provato a chiamare, sia al cellulare che su WhatsApp: il primo era spento e sull’app non rispondeva. Quindi ho preparato un mini-dossier e mi sono rivolto ai carabinieri, pubblicando solo un articolo generico in cui parlavo della donna come ‘diva del web’: non volevo appunto essere io a dare la notizia ai familiari o intralciare la giustizia”.

Davide Fontana

Cosa l’ha colpita di più della storia del femminicidio di Carol Maltesi?

“È una vicenda che si presta a diversi piani di lettura. In primis è un femminicidio atroce, che però ha un movente identico a tutti i femminicidi: c’era un uomo che temeva di perdere il controllo su una donna e l’ha uccisa. La storia è inoltre maturata in un contesto moderno, quella che chiamo nel libro ‘affollata solitudine ai tempi dei social’: Carol Maltesi aveva 30mila follower, amici, colleghi, parenti, ma ci sono voluti due mesi e mezzo per ritrovarla”.

Scrive infatti nel libro che i suoi mondi non comunicavano tra loro.

“È così. I colleghi non conoscevano la famiglia e viceversa. E poi c’era il Covid, che ha aumentato le distanze tra le persone. I social fanno il resto: sentiamo ogni giorno le persone su queste piattaforme e non ci stupiamo più di tanto se non li vediamo per due mesi”.

E poi?

“Un altro elemento importante è la grande recita messa in atto dall’assassino nel rispondere su WhatsApp. Poteva accadere solo in quest’epoca digitale. Lui ha rubato virtualmente la sua identità”.

Da dove viene il titolo del suo libro “Sulla tua pelle”?

“Non era la mia idea iniziale, perché volevo puntare sulla voce, che è il punto che per me ha fatto la differenza. Ma la pelle ha a che fare con i tatuaggi, quelli dell’elenco diffuso dai carabinieri, quelli che si sono rivelati essere una sorta di biografia di Carol Maltesi, perché raccontavano la sua vita e hanno permesso di ridarle un nome. La sua storia è passata attraverso i suoi tatuaggi”.

In quello stesso periodo, altri corpi senza nome furono trovati, per lo più restituiti dai fiumi del centro Italia. Cosa ha provato nel leggere storie potenzialmente simili a quella di Carol Maltesi?

“Anche se non erano di mia competenza geografica ho cercato di approfondirli. Li chiamo nel libro ‘i delitti del borsone’. Accade spesso nei femminicidi: i corpi vengono messi in una borsa e gettati in un fiume, che poi però li restituisce. Credo però che quegli omicidi, mi passi il termine, avessero un copione criminale più banale rispetto a questo che è più articolato”.

Quando Carol Maltesi è stata uccisa, c’è stata una polemica relativa al fatto che tutti i giornali abbiano menzionato la sua attività di attrice hard per il web. Perché invece questo era un dettaglio importante, senza ombra di pregiudizio o giudizio?

“È un passaggio chiave, anche se magari qualcuno magari se n’è approfittato mediaticamente. Per capire, basta fare un confronto: quando è stata uccisa Laura Ziliani si è parlato di lei come ex vigilessa. Perché quindi non dire, senza giudizi, che Carol Maltesi fosse un’attrice hard, un mestiere che non è contrario alla legge italiana? Sembrerebbe quasi un retropensiero maschilista non parlarne. In più Charlotte Angie è stata riconosciuta per i tatuaggi: è stato determinante che lei fosse un personaggio noto, con un grande database di foto online”.

C’è qualcosa di quei giorni che farebbe in modo diverso, da giornalista?

“Diciamo che in quei giorni ho fatto molto i conti con la mia coscienza e ho tenuto un pensiero fisso: Carol Maltesi era una giovane mamma. A uno potrebbe anche balenare l’idea di approfondire l’indagine, di presentarsi sotto casa di qualcuno per intervistarlo, ma ho deciso di far prevalere la morale. Non ho dato infatti io la notizia ai famigliari, ma i carabinieri. Ho sempre trattato la famiglia con discrezione e nel libro cerco di far emergere un concetto: sono tutti vittime”.

Quello del giornalista è un mestiere talvolta percepito in maniera negativa. In base a questa sua esperienza, può essere importante per la società?

“Penso di sì, mi sono scelto questo mestiere con grande fatica e lo faccio ogni giorno. Mi hanno chiamato decine di colleghi da tutta Italia: quelli del web ne hanno parlato come la dimostrazione che anche il giornalismo online dà le notizie, altri mi hanno ringraziato. Ma io non ho fatto niente di eroico, è un eroe chi conduce inchieste sulla mafia o è inviato di guerra.

Però sono contento se questo mestiere ha riguadagnato un po’ di dignità agli occhi dell’opinione pubblica. Un lettore mi ha scritto: ‘Grazie, perché hai dimostrato che i giornalisti non sono tutti sciacalli’. Spero che questo messaggio sia passato: ma io, come dice mia moglie, ho fatto solo il mio dovere”.

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