
C’è una scia di delitti irrisolti che è rimasta seppellita a lungo nei boschi tra le province di Como e Lecco, laddove dal 2004 al 2011 furono ritrovati i resti di alcune giovani donne. All’inizio erano sette: tutte straniere, quasi certamente prostitute, barbaramente uccise. "Ora la casistica è aumentata. Ad oggi, siamo tra le 11 e le 12 vittime", dice il criminologo e anatomo patologo forense Franco Posa che, assieme al suo team di collaboratori del NeuroIntelligence Private Institute of Scientific Research, ha avviato una serie di attività tecnico-scientifiche per provare a risolvere il macabro giallo.
I cadaveri furono depezzati e occultati all’interno di grossi sacchi neri per la spazzatura. Da qui l’ipotesi che dietro questa sequenza di omicidi efferati si celi la mano dello stesso assassino. "Non sappiamo se si tratti di un serial killer, ma sicuramente c’è un modus operandi sovrapponibile in un discreto numero di casi", precisa l’esperto a Il Giornale.
Dottor Posa, cosa l’ha incuriosita di questo cold case?
"Anzitutto ci tengo a precisare che, in qualità di Istituto di Neuroscienze Forensi e Criminologia, svolgiamo due tipi di attività. Da un lato ci occupiamo di comportamento e metabolismo cerebrale, dall’altra dello studio di cold case particolarmente datati. In questo caso specifico ci sono aspetti che, dal punto di vista accademico e scientifico, reputiamo molto interessanti. Dunque, abbiamo deciso di procedere con una serie di attività esplorative".
Qual è il comune denominatore dei delitti?
“Ci sono una serie di elementi che ci fanno pensare a una serialità criminale. In primis la caratteristica del depezzamento e le modalità di occultamento dei corpi. C’è poi un’altra evidenza significativa data dal fatto che su due sacchi c’era un nastro adesivo di una nota casa motociclistica. Infine vi sono altri indicatori importanti, quali la territorialità e l’aspetto psicologico”.
Ovvero?
“Le vittime erano tutte donne molto giovani, peraltro straniere, e i delitti sono avvenuti in una localizzazione geografica molto limitata. Stiamo parlando di un raggio di circa venti chilometri tra un omicidio e l’altro. E poi, come le dicevo, c’è l’aspetto relativo al movente che è ancora da esplorare”.
Lei che idea si è fatto al riguardo?
“Posso solo dirle che il depezzamento non è così frequente. E credo che lo smembramento non sia servito a facilitare il trasporto dei cadaveri. O almeno, questa è un’ipotesi che non ci soddisfa”.
In che modo state procedendo?
“Applicheremo lo stesso protocollo utilizzato per la casistica relativa al serial killer di Milano . La prima attività che avvieremo, in realtà già abbozzata, è quella di un crime mapping, cioè una tecnica scientifica che permette di identificare la distribuzione territoriale e alcuni criteri all’interno del territorio che possono confortare l’idea di una serialità del crimine”.
E poi?
“Il secondo passaggio è quello di reperire le autopsie fatte all’epoca e altre informazioni autoptiche documentate. Infine ci sarà un ultimo passaggio con l’applicazione di un protocollo di autopsia psicologica, il PASIC, che consiste nell’ascoltare persone che in qualche modo erano in relazione con le vittime o la scena del crimine. Applicando il PASIC potremmo ottenere delle informazioni dirimenti per ampliare sia la casistica sia la tecnica di studio”.
Qual è il vostro obiettivo?
“Ci tengo a precisare che non siamo investigatori e quindi non stiamo dando la caccia a un assassino. Il nostro compito è quello di fornire elementi utili a chi farà eventualmente le indagini. E quindi, il nostro scopo è quello di procedere con un’attività puramente tecnica e scientifica”.
Quanto tempo ci vorrà per avere delle risposte?
“Abbiamo stimato circa un anno e mezzo o due di attività, la vicenda è ancora da esplorare. Non escluderei che la casistica potrebbe aumentare”.
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