“Il governo sta agendo bene e ha intrapreso una serie di ulteriori interventi per migliorare il Codice Rosso. Tuttavia, permangono ancora difficoltà, soprattutto per le donne straniere, specialmente quelle con figli”. L’ex deputata italo-brasiliana Renata Bueno, commenta così gli incontri avuti con alcuni parlamentari di maggioranza e opposizione, per mantenere l’attenzione alta sul fenomeno dei femminicidi, in particolare dopo l’uccisione di Ana Cristina Duarte, avvenuta davanti ai suoi tre figli.
"Mai avrei immaginato che potesse succedere una cosa del genere”, ci dice Monique, la sorella della vittima che si trova in Italia per il funerale di Ana Cristina che si è celebrato a Colli al Metauro, nel pesarese, dove la brasiliana di 38 anni viveva insieme marito Ezio di Levrano che l’ha uccisa nel cuore della notte davanti ai figli di 6, 13 e 14 anni. I due si erano conosciuti e sposati in Brasile, ma una volta arrivati in Italia, lui viene arrestato. “Ana non sapeva assolutamente che il marito fosse un latitante e mentre lui era in prigione ha dovuto vivere la prima gravidanza a casa dei suoceri”, racconta ancora la sorella.
In seguito, la coppia si trasferisce in Sardegna, a Porto Torres, dove vive per una decina d’anni per poi far trasferirsi nelle Marche. “Dopo la sua scarcerazione, Ana ha avuto altri due figli. Ha sempre subito maltrattamenti ma, pur avendo voluto lasciare l'Italia con i suoi bimbi per tornare dalla famiglia non ha potuto farlo perché la legge italiana non permette che i figli escano dal Paese senza il consenso dell’altro genitore”, spiega Renata Bueno che ha anche assunto la difesa legale della famiglia - dal momento che è stata sempre in prima linea nelle battaglie per i diritti, in particolare delle brasiliane e brasiliani in Italia, in qualità di Presidente dell’Associazione “Instituto Cidadania Italiana” - insieme all’avvocato Francesca Conte.
“Nei casi di violenza, isolare la vittima è una delle strategie principali del carnefice. Diventa ancora più facile quando la vittima proviene da un altro Paese e vive situazioni di controllo e di ricatto che la indeboliscono ulteriormente”, evidenzia l’ex parlamentare. Se la donna vittima di violenza pensa che la denuncia non porterà all’arresto immediato del marito, teme per la sua vita e quella dei suoi figli e, quindi, evita di denunciare.
“Se ci fossero misure preventive per un arresto immediato, molte donne si sentirebbero più sicure e incoraggiate a denunciare, sapendo che non ritroverebbero l’aggressore in casa”, dice Bueno che ricorda come il Brasile abbia adottato la legge Maria da Penha che prevede, appunto, l’arresto immediato dell’aggressore, anche al primo episodio di violenza. “Questa misura è fondamentale perché infonde maggiore sicurezza nelle vittime: sanno che l’aggressore non resterà in libertà”, ribadisce Bueno mettendo in evidenza il fatto che anche chi assiste o sente episodi di violenza può intervenire denunciando l’aggressore, una norma che esiste anche in Italia da alcuni anni.
Per il marito di Ana, invece, non è stato così e, sebbene i servizi sociali fossero a conoscenza della situazione, non è stato possibile impedire l’omicidio. Ana aveva chiesto aiuto alla Caritas ed era riuscita anche a trovare una nuova sistemazione per la famiglia. Da aprile non vivevano più a casa dei suoceri, ma la situazione è peggiorata e le violenza aumentavano di giorno in giorno finché lei ha espresso il desiderio di andarsene. Alla fine, lui l’ha uccisa.
Quel giorno l’aveva già picchiata pesantemente durante il pomeriggio, e alle due di notte l’ha accoltellata a morte, davanti ai figli.
Il giorno del funerale il figlio più grande ha chiesto scusa alla madre di non averla potuta salvare e ha promesso che d’ora in poi avrebbe cambiato vita: “Prometto che voglio diventare una persona migliore, a scuola ho già preso un 7 e un 9″, ha detto. Una storia drammatica, ma allo stesso tempo che lascia intravedere un barlume di speranza per i figli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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