Stasi, parla il giudice che l'ha assolto: "Occhio al ragionevole dubbio"

A Quarta Repubblica parla il giudice che in primo grado assolse l'ex fidanzato di Chiara Poggi: "Nessuno ha mai trovato il movente"

Stasi, parla il giudice che l'ha assolto: "Occhio al ragionevole dubbio"
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Il caso di Chiara Poggi, 18 anni anni dopo, non è ancora chiuso. Oppure sì. Due sentenze, una in Corte di Appello bis e poi la Cassazione, hanno condannato Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l’omicidio che risale al 13 agosto del 2007. Eppure? Eppure, al netto del possibile coinvolgimento di un terzo soggetto (è indagato al momento Andrea Sempio, il cui test del Dna è stato eseguito nei giorni scorsi), a far riflettere è piuttosto l’intero sistema giudiziario. Non tanto, o non solo, per gli errori che sarebbero stati commessi durante le indagini, ma per quel fondamento giuridico su cui si basa il sistema giudiziario.

Intervistato da Quarta Repubblica, Stefano Vitelli, il giudice che in primo grado ha assolto Alberto Stasi ha spiegato perché in quella sentenza (poi confermata dall’Appello), l’ex fidanzato di Chiara Poggi venne assolto. “Nonostante le molte verifiche e approfondimenti che hanno caratterizzato” il processo in Tribunale, ha spiegato, “i dubbi non sono stati eliminati” ma anzi “su alcuni aspetti essenziali abbiamo constato che vi erano profili ancora più ambigui e incerti”. Vuoi l’alibi informatico, vuoi la questione delle scarpe, vuoi quella delle tracce ematiche. Ma soprattutto, l’assenza di un “movente” che sì “sarebbe stato un bel collante”, ma che nessuno era riuscito a trovare.

E qui il punto non è tanto determinare se Sempio sia o meno il colpevole (dare la caccia al nuovo mostro non è mai l’idea migliore e comunque occorre lasciar lavorare gli inquirenti). Tuttavia, secondo Vitelli, il caso Stasi “è emblematico”. “I dubbi che in primo grado abbiamo avuto e gli esiti contrastanti del proseguo del processo fino alla sentenza definitiva, e ora questa indagine dopo molti anni che coinvolge un terzo soggetto, ci portano tutti -magistrati, giornalisti, opinione pubblica- a riflettere sul valore di questo fondamentale principio dell’ordinamento liberal-democratico che è quello del ragionevole dubbio. E non è un principio che si risolve in un tecnicismo. Ma un valore culturale che interessa tutti”.

Tradotto: la giustizia non deve dare la caccia al colpevole “ad ogni costo”, ma condannare solo chi si ritiene tale di fronte a prove inconfutabili. Resta tuttavia la domanda: Stati lo è colpevole, oltre ogni ragionevole dubbio?

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