La sua unica "colpa" era quella di voler vivere all'occidentale, indossare un paio di jeans e mettersi un filo di mascara. Ma i genitori, entrambi di religione islamica, hanno fatto muro: "Ti devi mettere il velo". Anzi, di peggio: "Devi indossare abiti a maniche a lunghe, devi coprirti il più possibile". Un incubo per la ragazzina di Cremona, 15 anni, che ha cessato di essere tale solo quando ha deciso di confidarsi con un insegnante di scuola e chiamare il telefono azzurro. Finiti a processo per maltrattamenti fisici e psicologici, la mamma e il padre si difendono dalle gravissime accuse: "Siamo solo molto premurosi".
L'accusa ai genitori
Quelle che per la coppia di genitori erano "premure", per la 15enne si sarebbero tramutate in vessazioni, torture psicologiche. Un supplizio continuo a cui sarebbe stata sottoposta dentro e fuori le mura domestiche. Quella casa diventata oramai una specie di gabbia dove mamma e papà avrebbero imposto regole ferree, inflessibili. Non solo, contro la sua volontà, sarebbe stata costretta a indossare il velo ma si sarebbe dovuta coprire anche coprirsi gambe e braccia. Ogni lembo di pelle scoperta, fosse anche solo infinitesimale, avrebbe potuto innescare una discussione. Litigi che, a detta della ragazzina, sarebbero culminati in sonori ceffoni sulla faccia e botte.
"Devi fare la dieta del Ramadan e non parlare con i maschi"
Come se tutto questo non fosse già abbastanza, racconta La Provincia di Cremona, alla giovane sarebbe stato imposto il Ramadan. "Devi seguire la dieta", le avrebbero detto i genitori ignorando le eventuali conseguenze del digiuno prolungato per la figlia in età puberale. Al riguardo, lo scorso anno, aveva fatto scuola una sentenza del tribunale di Ancona relativa all'osservanza del Ramadan per i minori. La ragazzina non avrebbe dovuto neanche parlare, figurarsi poi frequentare amici maschi. E qui sarebbe poi scattato l'ennesimo avvertimento: "Niente fidanzato". Stando alla versione fornita dalla 15enne, pare che la madre la spiasse dalla finestra quando usciva di casa per andare a scuola. Zaino in spalla e testa bassa lungo tutto il tragitto. Durante la pandemia Covid-19, quando le lezioni si tenevano a distanza, il papà avrebbe staccato il collegamento se scorgeva in chat un compagno di classe "maschio".
La denuncia
Un inferno durato mesi, giornate che sembravano non avessero mai fine. Fino a quando la ragazzina non ha trovato il coraggio di ribellarsi parlando dapprima con un'insegnante e poi denunciando le presunte violenze al telefono azzuro. Ora si trova in una comunità protetta, dove può finalmente indossare quel tanto desiderato paio di jeans e camminare con i capelli al vento. I genitori, finiti a processo con l'ipotesi di reato per maltrattamenti fisici e psicologici, respingono le accuse.
Ieri, durante l'udienza preliminare davanti al Tribunale di Cremona, si sono giustificati dicendo di essere solo "molto apprensivi e ansiosi". Da che parte stia la verità, nessuno può ancora dirlo. Si torna il aula il prossimo 20 dicembre, il giorno della sentenza.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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