Vincenzo Verzeni, il Vampiro della bergamasca studiato da Lombroso

Necrofilia, mutilazioni e piacere sadico: solo due vittime accertate, ma il bilancio potrebbe essere molto più elevatoa

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Necrofilia, mutilazioni, forse cannibalismo, una sete di sangue terrificante. Vincenzo Verzeni è stato uno dei primi serial killer italiani noti e anche per questo motivo le informazioni sul suo conto sono poche e difficili da verificare. Una cosa è certa: sono almeno due le vittime di quello che è stato ribattezzato il “Vampiro della bergamasca”, ma secondo molti esperti il bilancio potrebbe essere molto più elevato. Una violenza incontenibile, conosciuta sin da giovanissimo, perpetrata esclusivamente nei confronti delle donne.

Infanzia e adolescenza

Vincenzo Verzeni nasce l’11 aprile del 1849 a Bottanuco, in provincia di Bergamo, in una famiglia di contadini. La madre è malata, soffre di epilessia, mentre il padre è un uomo autoritario, spesso ubriaco e violento. Nel corso dell’infanzia non si segnalano particolari segnali di allarme, anzi, Verzeni si distingue per la spiccata sensibilità: fatica a vedere uccidere gli animali, che sia un pollo o un coniglio. Un ragazzino silenzioso, sveglio e piuttosto intelligente, anche se non ha la possibilità di frequentare scuola.

La famiglia di Vincenzo Verzeni vive in una cascina insieme ad altri partenti, un grande nucleo allargato tipico delle zone contadine del Nord Italia nell’Ottocento. Legato ai nipotini, lui lavora e si dà da fare senza fiatare, rispettando il padre e senza grosse ambizioni per il futuro. Nel corso dell’adolescenza però qualcosa cambia e Verzeni inizia a provare piacere con la violenza: fa strage di polli nella cascina di famiglia, ma il suo obiettivo sono le donne, su cui vorrebbe mettere le mani e soddisfare i suoi desideri.

Vincenzo Verzeni non ha problemi con il genere femminile: ha cambiato diverse fidanzate e non ha rapporti burrascosi segnanti alle spalle. Vicino alla maggiore età, inizia a sognare di strangolarle, di mettere loro le mani attorno al collo per raggiungere il massimo piacere. Nel 1867, appena maggiorenne, aggredisce nel sonno la cugina Marianna: la dodicenne è costretta a letto in convalescenza e Verzeni le salta addosso, non con l’obiettivo di fare sesso ma di strangolarla. Sopraffatta, la piccola non riesce a opporre resistenza, ma il diciottenne di punto in bianco si ferma e si allontana. Un orgasmo, probabilmente. La vicenda si chiude senza denuncia. In altri termini, riesce a farla franca.

Le donne nel mirino

Le confidenze con il parroco di Paese non spingono Vincenzo Verzeni a redimersi fino in fondo. Passano due anni e torna a colpire. Nell’inverno del 1869 incontra per strada una giovane donna, Barbara Bravi, e dopo aver scambiato due parole la trascina in un campo. Anche in questo caso il suo obiettivo non è violentarla, ma strangolarla. Come con la cuginetta, Verzeni toglie le mani dalla sua gola prima che sia troppo tardi. La ventisettenne ne approfitta e scappa via, mettendosi in salvo.

Passano pochi giorni e Vincenzo Verzeni torna a colpire. La vittima questa volta è Margherita Esposito, una donna di mezza età piuttosto robusta e coriacea. Anche questa volta il futuro “Vampiro della bergamasca” prova a strangolarla, ma in questo caso la sua preda riesce a opporre resistenza, rompendo la stretta e fuggendo via. Nella colluttazione Verzeni viene ferito al volto. La terza e ultima aggressione avviene poco tempo dopo, sempre nel 1869: il ventenne rapisce Angela Previtali e la porta in una zona disabitata della campagna bergamasca. Prima di dare sfogo alle sue pulsioni, però, decide di lasciarla andare, impietosito dalle suppliche della giovane.

Gli omicidi

Dopo aver “graziato” le sue vittime, Vincenzo Verzeni decide di fare il salto di qualità: diventare un assassino. L’occasione propizia si presenta nel dicembre del 1870, la vittima è la quattordicenne Giovanna Motta, che lavora in una cascina della “sua” Bottanuco. Verzeni non si limita a stringerle le mani attorno al collo: dopo averla rapita e portata in un luogo isolato, la uccide tramite soffocamento, la sventra con un rasoio, le taglia le viscere e la mutila. Un’esecuzione truculenta: Verzeni, infatti, le pratica un taglio che va dal petto all’inguine, dividendola a metà. Probabilmente prima di procede alla mutilazione la violenta, come testimoniato dai segni riscontrati all’interno delle cosce. Verzeni vorrebbe anche portare a casa dei pezzi di carne della vittima per mangiarli, ma desiste temendo di compiere qualche errore.

Subito dopo l’omicidio di Giovanna Motta, Vincenzo Verzeni decide di mantenere un profilo basso, ma le pulsioni sono difficili da contenere. Nell’aprile del 1871 si invaghisce di una contadina, Maria Galli, ma quest’ultima decide di denunciarlo prima che passi all’azione. Poche settimane più tardi, nel suo mirino finisce Maria Previtali – non parente di Angela – e in questo caso passa all’azione: dopo averla attirata in un posto nascosto, la spintona con violenza e prova a morderla al collo. A differenza della povera Motta, la Previtali riesce a mettersi in salvo. La stessa fortuna non toccherà a Elisabetta Pagnoncelli.

Nell’agosto del 1871 Vincenzo Verzeni incrocia la contadina Elisabetta Pagnoncelli per le strade di Campazzo e non riesce a resistere: come Giovanna Motta, viene massacrata e sventrata, le vengono asportati degli organi e strappati dei lembi di carne. Anche in questo caso è impossibile non immaginare atti di necrofilia, considerando le pulsioni sessuali del killer. Ma in questo caso non riesce a farla franca.

L'arresto, Lombroso e la morte

Subito dopo l’omicidio di Elisabetta Pagnoncelli, Vincenzo Verzeni viene arrestato. Decisive le testimonianze di due donne di Campazzo, che l’hanno visto in compagnia della vittima. In più, tutte le testimonianze delle aggressioni precedenti. Il suo caso diventa di dominio pubblico e viene incaricato Cesare Lombroso, antropologo, criminologo e docente, per stendere la perizia psichiatrica. Verzeni è un “sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana”, la conclusione dell’esperto, che diagnostica una grave forma di necrofilia, cretinismo e pellagra.

Ritenuto colpevole di duplice omicidio, Vincenzo Verzeni riesce a evitare la pena di morte – tramite fucilazione – grazie al voto di un componente della giuria: viene condannato all’ergastolo, da scontare nel manicomio criminale della Pia Casa della Senavra di Milano. Per lui anche lavori forzati a vita. Nella struttura, dopo un primo periodo tranquillo, viene spostato nel raggio di massima sicurezza e viene sottoposto a trattamenti “moderni” per l’epoca, come le scariche elettriche e l’isolamento totale.

Nel 1873, però, aggredisce un infermiere, strappandogli un testicolo: viene dunque messo quaranta giorni in isolamento, un periodo devastante sia fisicamente che mentalmente. Nella notte del 12 aprile del 1874 Vincenzo Verzeni viene ritrovato impiccato nella sua cella.

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