La «sala degli specchi» al Quirinale sembra davvero una metafora. Dimmi, chi sei? Sergio Mattarella se lo chiede ogni volta che incrocia Giuseppe Conte. L'uomo che ha di fronte è un riflesso.
Mattarella suggerisce, spinge, implora di fare in fretta. L'altro rassicura, promette e poi paralizza tutto quello che lo circonda. È un dialogo surreale che, alla lunga, sa di presa per i fondelli.
C'è un piano per ripartire?
Certo, Presidente.
Dov'è?
Qui, Presidente, bisogna solo mettere a posto due cosette.
I rapporti con l'opposizione?
Ottimi, Presidente.
E i disoccupati?
Nessuno verrà lasciato indietro, Presidente.
E le aziende?
Un decreto poderoso, Presidente, 400 miliardi di prestito garantiti dallo Stato.
E la cassa integrazione?
Ci pensa l'Inps, Presidente.
E i soldi dell'Europa?
In cassaforte, Presidente.
Il Presidente della Repubblica forse finge ancora di credergli. Di certo, però, non si possono più nascondere le carte. «Servono risposte concrete e in tempi brevi su come verranno utilizzati i fondi europei». C'è un giallo su questa frase. C'è chi dice che Conte abbia messo le mani avanti e il presidente abbia risposto: «Appunto, facciamolo» e chi sostiene il contrario. Mattarella parla e Conte promette. La cosa certa è che l'Italia non può permettersi di sprecare altro tempo.
Cosa può fare il Quirinale? L'unica arma che ha Mattarella è sciogliere le Camere e chiamare gli italiani al voto. Non può usarla. Non ci sono le condizioni politiche. Non c'è stato un voto di sfiducia. Non ritiene opportuno andare alle elezioni con il virus in giro. Non si fida probabilmente delle alternative. È presto per un governo tecnico. È ancora costretto a sopportare Conte.
Il Quirinale è però anche il garante dell'Italia davanti all'Europa. Mattarella ci sta mettendo la faccia. L'idea che il governo abbia deciso di rinviare tutto a settembre, quando tra l'altro termina lo stop ai licenziamenti e si prevede un autunno caldo, non lo rassicura affatto. È da incoscienti. Il «fate presto» del Colle piace a Forza Italia (con le parole della Gelmini), fa dire alla Meloni per quale motivo tutto questo non venga discusso in Parlamento, ma trova Pd e Cinque Stelle distratti, quasi sorpresi a fischiettare.
Oggi il premier si collegherà con il Consiglio europeo. È la riunione di tutti i capi di governo. Conte sostiene che è solo consultiva. Mattarella pensa che non si possa andare a mani vuote, gli altri si aspettano qualcosa, non solo chiacchiere. La signora Merkel, che sta cercando di giocare un ruolo da statista, chiede all'Italia di battere un colpo. Il concetto è: aiutatemi ad aiutarvi. Non solo le tocca fare i conti con gli elettori tedeschi, ma deve superare la diffidenza e lo scetticismo dell'Europa del Nord. C'è l'Olanda, ci sono polacchi, cechi, ungheresi e slovacchi, c'è la Scandinavia, ci sono i baltici. Tutti a chiedersi come verranno utilizzati i soldi. Da qui dipende il destino di quel grande piano, ancora tutto da definire, chiamato Next Generation Eu.
Come ci arriva Conte? Non si sa. Non c'è stato un voto in Parlamento. Nessuna parola chiara sul Mes. I decreti di questi mesi sono moneta virtuale. La settimana di Stati generali dell'economia, a porte chiuse, si è persa come lacrime nella pioggia. Tutta la politica economica del governo Conte si può riassumere con un «grande boh» alla Jovanotti. Quello che si sta chiedendo all'Europa non è un semplice atto di fiducia, ma una totale «sospensione dell'incredulità», come accade nelle favole o in certe serie come La casa di carta. Chiudiamo gli occhi e incrociamo le dita; si sa, sono italiani, in qualche modo se la caveranno. Forse è pretendere un po' troppo.
Uno può anche dire: chi se ne frega dell'Europa. Poi, però, c'è la realtà, e quella ti arriva in faccia. La Bce registra una contrazione economica senza precedenti. Si parla di un Pil reale al ribasso dell'8,7 per cento nel 2020. La recessione non colpisce però tutti allo stesso modo. Germania e Olanda, per esempio, se la stanno cavando. La botta c'è, ma non ha creato un deserto. Francia e Spagna stanno peggio. L'Italia, nella classifica di molti indicatori economici, occupa le ultime posizioni. Questa però non è ancora la realtà. Sono numeri e i numeri raccontano uno scenario.
La realtà è a un livello più profondo. È quella di chi ha perso il lavoro, di chi ha chiuso il negozio. È la paura e la rabbia di chi non ha più speranze. A tutti questi la politica dovrà dare, prima o poi, una risposta.
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