Era iniziata come una semplice inchiesta sul traffico di vestiti usati, quelli - per intenderci - raccolti nei cassonetti gialli in molte città d'Italia. Quei vestiti un po' rovinati che però la gente dona, sperando di far del bene. Come spesso accade, però, c'è anche chi cerca di guadagnare attraverso la carità.
Come scrive il Corriere, l'indagine della procura di Roma ha evidenziato che in questo servizio pubblico "s'era infiltrato il malaffare e probabilmente una fetta di camorra napoletana: gli abiti donati venivano raccolti da società e cooperative gestite da personaggi che non si dedicavano ad alcuna lavorazione (oppure lo facevano solo parzialmente) e poi spedivano clandestinamente i carichi verso l'Africa e l'Est europeo".
Con l'inchiesta "Mafia capitale" è apparso chiaramente il modus operandi dei trafficanti. Massimo Carminati e Salvatore Buzzi avrebbero infatti fatto pressioni sull'Ama - l'azienda municipalizzata che si occupa oltre che del ritiro degli abiti usati anche della raccolta differenziata - per avere uomini di fiducia che potessero occuparsi della raccolta dei vestiti.
L'organizzazione non teneva assolutamente in alcuna considerazione le normali azioni per igienizzare i capi, come scrive il Corriere: "la procedura non era rispettata per niente, o solo in minima parte. I camion per i trasporti venivano stipati di indumenti chiusi negli stessi sacchetti lasciati dai donatori, e solo l'ultima fila, quella visibile a un'ispezione superficiale, era compsta dagli appositi sacchi bianchi riempiti con le stoffe trattate regolarmente".
I camion viaggiavano poi con una documentazione falsificata che certificava "processi di trattamento e recupero", in realtà mai avvenuti.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la centrale di raccolta era in Campania ed era nelle mani del clan
camorristico dei fratelli Cozzolino.Ieri, il giudice dell'indagine preliminare Simonetta d'Alessandro ha ordinato l'arresto di 14 persone perché coinvolte in questi traffici illegali.
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