"Armi all'Ucraina? Solo a determinate condizioni". La timida apertura della Santa Sede

Il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin considera legittima la resistenza armata, ma bacchetta anche l'Occidente per il flop diplomatico

"Armi all'Ucraina? Solo a determinate condizioni". La timida apertura della Santa Sede

"Non mi pare corretto chiedere all'aggredito di rinunciare alle armi e non chiederlo, prima ancora, a chi lo sta attaccando". Con questa risposta ad una domanda sulla legittimità o meno di armare la resistenza ucraina, il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin ha cercato di smentire una volta per tutte l'immagine di una Santa Sede eccessivamente equidistante sul conflitto iniziato lo scorso 24 febbraio. Lo ha fatto in un'intervista concessa a Lucio Caracciolo e Guglielmo Gallone sulla rivista Limes e nel corso della quale ha confessato di essere spaventato dalla "semplificazione" di chi dice che "il papa è filorusso perché invoca la pace" o "perché condanna la corsa al riarmo" . Una semplificazione diffusasi soprattutto all'indomani dell'ormai famosa intervista al Corriere della Sera nella quale Papa Francesco parlò dell'"abbaiare della Nato alla porte della Russia". In quell'occasione, peraltro, sullo stesso tema il Pontefice argentino non era arrivato alla conclusione di Parolin ed aveva detto di non saper rispondere "all'interrogativo se sia giusto rifornire gli ucraini" .

La risposta data dal porporato veneto ai giornalisti di Limes, tuttavia, non è una novità dal momento che nei mesi scorsi questa posizione non ostile all'invio di armi era già stata proclamata dallo stesso Parolin in un incontro all'università Lumsa e ripetuta dal "ministro degli esteri" vaticano, monsignor Paul Richard Gallagher. La Segreteria di Stato, dunque, si è sbilanciata di più nelle dichiarazioni rispetto al Santo Padre sulla questione della legittima difesa ucraina, ma il perimetro è lo stesso: la priorità alla via diplomatica e l'appello ad un disarmo generale.

Nell'intervista a Parolin, in effetti, non c'è solo la condanna dell'invasione russa ma anche una velata insoddisfazione per la condotta assunta da alcuni governanti occidentali in questa fase internazionale così difficile, laddove si lamenta del fatto che "le potenze sembrano non riuscire più a intendersi" e che "antiche regole e abitudini diplomatiche vengono violate e i toni polemici arrivano fino agli insulti sanguinosi fra capi di Stato".

Non bisogna dimenticare i risvolti provocati dallo scoppio della guerra in Ucraina alla politica estera della Santa Sede e alle relazioni ecumeniche: l'instaurazione di relazioni diplomatiche ufficiali con la Federazione russa è un traguardo raggiunto solo nel 2009 al termine di un cammino lungo e complesso. C'è poi la questione del dialogo ecumenico tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa che si era stabilizzato a partire dal pontificato di Benedetto XVI dopo anni di diffidenza e che aveva raggiunto l'apice con l'incontro di Cuba del 2016 tra Papa Francesco e Kirill.

Roma non può permettersi di tornare indietro sull'ecumenismo e per questo non può compromettere del tutto il rapporto con la gerarchia ecclesiastica russo-ortodossa. Già negli anni passati, a seguito dell'annessione della Crimea, la Santa Sede aveva avuto più di un problema con i vescovi greco-cattolici ucraini che giudicavano troppo morbida la posizione del Papa nei confronti della Russia. L'arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, ad esempio, aveva criticato la strategia vaticana, prendendosela con la stessa Segreteria di Stato quando aveva auspicato che l'ecumenismo venisse "tolto dalle mani dei diplomatici".

Lo stesso Shevchuk, così come gli altri vescovi cattolici d'Ucraina, si sono sempre dimostrati più espliciti sul diritto del loro popolo a difendersi dall'invasione russa. Le parole di Parolin a Limes vanno in questa direzione laddove si riconosce che "i popoli hanno il diritto di difendersi, se attaccati" e che"il catechismo della Chiesa cattolica prevede la legittima difesa". Ma pongono l'attenzione primariamente sulla ricerca della pace e sul ricorso alla diplomazia. Una prudenza che si ritrova anche nelle condizioni enunciate dal Segretario di Stato per far sì che la legittima difesa armata sia considerata legittima alla luce del catechismo: "che tutti gli altri mezzi per porre fine all'aggressione si siano dimostrati impraticabli o inefficaci; che vi siano fondate ragioni di successo; che l'uso delle armi non provochi mali e disordini più gravi di quelli da eliminare".

Su questo tema e sul concetto di "guerra giusta" nella dottrina della Chiesa, un gruppo di ucraini ricevuto in udienza privata lo scorso 8 giugno ha sollecitato Papa Francesco a fare chiarezza proprio sull'onda di quanto sta accadendo nel loro Paese, sentendosi rispondere che aveva già dato ordine ad alcuni cardinali di lavorarci.

Secondo uno dei presenti a quest'incontro organizzato da un comune amico argentino, il Papa avrebbe confermato che "il popolo, come ogni individuo, ha diritto all'autodifesa, altrimenti, quanto accade potrebbe assomigliare a un suicidio". Una posizione - sebbene riportata da una parte e senza conferme ufficiali vaticane - più prudente, ma comunque in linea con quanto affermato dal cardinale Parolin a Limes.

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