Non so quando questa legislatura finirà. Spero duri cinque anni garantendo al Paese stabilità e riforme. Sicuramente, però, uno dei banchi di prova, se non il principale, del governo di centro-destra o di destra-centro, ognuno usi la dizione che preferisce, sarà la riforma della giustizia. Su questo argomento si misureranno le capacità dell'esecutivo e della coalizione. Si scoprirà se questi anni saranno stati un'occasione mancata o se invece saranno serviti al Paese per fare un passo avanti, per lasciarsi alle spalle una stagione in cui la giustizia è stata anche uno strumento per condizionare la politica in mano a una minoranza di magistrati ancora malati di ideologia.
Per cui non sto qui a giudicare gli interventi del ministro Nordio che forse dovrebbe privilegiare gli atti rispetto alle parole, mettendo da parte quell'eccesso di narcisismo accademico che contraddistingue ogni giurista. O la prudenza della premier che magari risponde solo a esigenze tattiche. Oppure i calcoli elettorali che stanno dietro ad alcune prese di posizione o amnesie di esponenti della maggioranza. I conti si faranno alla fine, appunto, e saranno solo sui risultati.
Perché la prima emergenza di questo Paese - come ha ripetuto per trent'anni Silvio Berlusconi e oggi spiega efficacemente sua figlia Marina sulle pagine di questo Giornale - è proprio la giustizia. Lo è per tutti i cittadini - di ogni colore politico, censo, religione, provenienza - che hanno il diritto di avere un sistema giudiziario giusto, che sono stanchi di quei meccanismi perversi tra magistratura e media che emettono condanne inappellabili al di fuori delle aule dei tribunali, senza nessuna garanzia. Condanne a volte anche alla memoria.
Dopo trent'anni non se ne può più, perché questo «sistema» inquinato ha fatto danni enormi: ha logorato istituzioni, condizionato stagioni politiche, liquidato governi, distrutto carriere, massacrato vite. Ha avvelenato la storia del nostro Paese. E ha gettato ombre e sospetti pure sulla magistratura e sui suoi membri, facendo venir meno la fiducia degli italiani (basta guardare agli indici di gradimento delle toghe nell'opinione pubblica).
Proprio per questo i primi che dovrebbero sperare in una riforma sono proprio i magistrati, perché trasformare i processi in dispute in cui l'ideologia conta più delle prove e le indagini in sceneggiature da fiction di terz'ordine solo per conquistare i riflettori, non giova innanzitutto a loro. Anche per loro, soprattutto, per i giovani magistrati che hanno indossato la toga per servire il Paese e non per fare gli interessi di una parte, il centrodestra deve avere il coraggio di chiudere una volta per tutte l'epoca dei veleni.
Già, coraggio. Perché non si tratta di un compito semplice visto che l'opposizione nella sua miopia userà il tema della giustizia per risalire la china, considererà ogni atto, ogni proposta, ogni ipotesi di riforma un piacere ai delinquenti (è la storia di questi decenni), per poi appellarsi al garantismo ogni volta che sarà tirata in ballo in un'indagine o in un processo. Purtroppo si diventa garantisti solo quando ci si ritrova nel ruolo degli imputati. L'unico, che ricordi, che è stato garantista pure con gli avversari è stato Silvio Berlusconi.
Quindi il centrodestra deve riformare la giustizia anche per l'opposizione. Nessun governo che vuole cambiare in meglio un Paese può sottrarsi a questa missione. Anzi, ha il dovere di provarci, di attuare uno dei capisaldi del suo programma.
Perché la colpa più grave sarebbe quella di non tentare di dare al Paese un sistema giudiziario più giusto e più efficiente cancellando reati che non hanno senso (l'abuso d'ufficio), definendo meglio il ruolo dei suoi attori (separazione delle carriere), garantendo i diritti dell'accusa ma anche quelli della difesa. Colpa che sarebbe ancor più grave se fosse determinata dal calcolo, dall' ignavia o dalla paura.
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