Un Berlinguer spaesato nell'Italia che cambia

"Berlinguer - La grande ambizione" racconta della parabola del Partito Comunista Italiano attraverso la figura di Enrico Berlinguer

Un Berlinguer spaesato nell'Italia che cambia
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Enrico Berlinguer è al cinema. Una didascalia introduce il film. Ci informa che negli anni '70, mentre la parabola del partito di massa ovunque declina, il Pci raccoglie ancora 1.500.000 iscritti e resta il più grande Partito comunista occidentale. Poche righe racchiudono la peculiarità della democrazia italiana: aver convissuto con un Partito comunista che, conquistata l'egemonia a sinistra nel 1948, fino agli anni Ottanta non l'ha più lasciata, costringendo il sistema a funzionare diversamente rispetto alle altre democrazie avanzate.

Di questa storia possono individuarsi tre grandi scansioni. Il periodo togliattiano, quando una elaborazione originale riassunta dalla formula «democrazia progressiva» - rivisitazione del lascito gramsciano sulla base del mai rinnegato marxismo-leninismo stabilisce una connessione tra politica interna ed esigenze del comunismo internazionale. Fino al 1947 ci riesce a pieno, e dopo non perde di vista la necessità di quel raccordo. Segue una fase di transizione. La seconda metà degli anni Sessanta è caratterizzata dall'insorgenza di movimenti che per la prima volta pongono ai comunisti problemi «da sinistra». Nel partito sono gli anni del confronto tra Amendola e Longo: uno propugna la «lotta sui due fronti», l'altro vorrebbe sfruttare quei nuovi fermenti in chiave tattica. Si prepara l'avvento di Berlinguer ed è già presente la problematica di fondo con la quale egli dovrà confrontarsi: come tornare a connettere il comunismo italiano con le esigenze ed i ritmi del cambiamento. Non è unicamente un problema di democrazia. E, per questo, esso non può risolversi solo in termini di distanza dall'Urss. Su tale aspetto il film si sofferma con buona verosimiglianza storica (e qualche sconto sul tema dei finanziamenti). La soluzione di Berlinguer è il compromesso storico: l'accordo tra masse comuniste e cattoliche, in uno schema di democrazia pluralista, ma non conflittuale, per giungere a una sorta di «consociativismo realizzato». Per un breve periodo, dopo lo scontro frontale sul divorzio, la proposta incontra una oggettiva esigenza del Paese, e anche della Dc, rimasta senza strada alternativa. Berlinguer, però, il divorzio sembra subirlo. Ne coglie il vento del cambiamento sociale, proprio come la vela della barchetta che conduce sulle acque di Stintino. Non è in grado di trattenerlo. Non comprende il processo di trasformazione indotto dalla crisi di secolarizzazione, che dalla società giunge a investire il sistema dei partiti. Le belle immagini del popolo comunista, proposte ossessivamente, coprono questa realtà ma non la eludono. Alla luce di quanto da lì a poco sarebbe accaduto con l'avvento di Reagan e Thatcher, le analisi berlingueriane sulla inevitabile crisi del capitalismo appaiono lunari. Da qui il suo spaesamento, quando a pochi metri dal traguardo la sua strategia entra in crisi. Il film considera, a questo punto, il rapporto con Andreotti e Moro; è efficace, individuando i tratti peculiari nel cinismo di breve momento del primo e nella visione strategica dell'altro. In particolare, laddove Moro avverte «il Segretario» che la collaborazione tra Pci e Dc sarebbe consistita «in un periodo di responsabilità condivisa», perché «gli eventi non è detto che siano quelli che volete voi». Il rapimento del leader democristiano lascia Berlinguer incredulo. Non può concepire il rigetto della ragion di stato che Moro invoca dalla prigionia. Ne parla in famiglia. È il passaggio che ne definisce il profilo, descrivendo una maschera tragica diversa dall'italiano della vulgata: un «antiitaliano» piuttosto e, per questo, anche un grande italiano. Non un grande politico italiano, però, nel senso di un uomo che abbia inciso in profondità nei destini del Paese. La narrazione finisce qui. Non affronta la stagione dell'isolamento e della sconfitta.

Le immagini passano direttamente ai funerali, quando un popolo immenso lo avrebbero salutato. Non erano solo comunisti. Il «partito», non dopo molto, avrebbe chiuso i battenti. Coloro i quali lo hanno apprezzato come uomo, ne avrebbero invece trattenuto l'immagine.

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