Morire a soli 18 mesi per una overdose di metadone. È questo il destino crudele che ha travolto un bimbo piccolissimo, la cui vita si è interrotta tragicamente lo scorso 4 aprile all'ospedale Maggiore di Parma. Ma non si sarebbe trattata di una drammatica fatalità. A somministrargli la sostanza letale sarebbe stata la madre.
L'accusa nei confronti di una mamma 37enne, residente nel parmense, è di omicidio preterintenzione aggravato e lesioni personali aggravate. Lo ha deciso il pm Paola Dal Monte che, nella mattinata di martedì 10 dicembre, ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini condotte dalla squadra mobile di Parma. Uno scenario agghiacciante che, se fosse confermata dal giudizio processuale, farebbe letteralmente accapponare la pelle.
Non uno ma ben 362 nanogrammi per millimetro è il residuo di metadone rinvenuto nel sangue del piccolo di 18 mesi. Una quantità tale da procurargli una morte dolorosa e repentina, causata da "una depressione dei centri respiratori". Ma quella non sarebbe stata l'unica traccia di stupefacente riscontrata nel corpicino della vittima. Nella relazione stilata dal medico-legale e dai consulenti della procura, Domenico Castaldo e Domenico di Candia, è stata appurata la presenza di "quantitativi imprecisati di sostanza stupefacente di varia natura (cocaina/morfina/oppiacei)". Droghe che, stando a quanto riferisce l'edizione odierna della Gazzetta di Parma, sono state somministrate al bimbo nei sei mesi antecedenti alla morte. Orrore allo stato puro.
A veicolare l'assunzione di tali sostanze sarebbe stata la madre 37enne, moglie di un giovane tunisino, padre del piccolo, con cui condivideva un passato di tossicodipendenza. Una situazione familiare decisamente complessa che, ovviamente, non scagiona la donna dall'ipotesi di colpevolezza. Anzi, rende tutto lo scenario ancor più macabro e inquietante.
Quando lo scorso 4 aprile è accaduto l'irreparabile, la 37enne aveva riferito ai medici del pronto soccorso dell'ospedale Maggiore di Parma di aver somministrato al figlioletto soltanto una tachipirina a causa di una febbre persistente che, da giorni, stentava a calare. Ma, alla luce delle indagini, sembrerebbe che la verità fosse tutt'altro che quella. Nella circostanza specifica, infatti, non sarebbe stato contatto neanche il pedriata. Perché? Domandano gli inquirenti. Tuttavia, il bannolo della matassa da sbrogliare è ben più fitto ed intricato.
Tra i vari dubbi da chiarire, ce ne sono due in particolare che danno parecchi grattacapi. Il primo concerne la posizione del tunisino a cui era stata affidata la temporanea cura del bambino - mentre la madre era via per lavoro - e che non si sarebbe accorto della grave sofferenza respiratoria del figlio nell'ultime ore di vita. Il secondo, invece, riguarda l'acquisto del metadone.
Secondo gli investigatori, nessuno dei due coniugi avrebbe fatto parte di un programma di recupero Sert, ragione per cui si fa strada il sospetto che abbiano potuto procuraselo al mercato nero dello spaccio.In attesa di stabilire quale sia la verità, i coniugi hanno preferito non commentare i risvolti dell'inchiesta. Restano solo il silenzio e l'amarezza per una morte dannatamente ingiusta.
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