Botte. Sputi. Insulti e minacce. L'inferno di Sara comincia così, a una sola settimana dalle nozze, nel dicembre del 2013. "Ha iniziato a picchiarmi appena sette giorni dopo il matrimonio", racconta alla nostra redazione. Cinque anni di lividi al corpo, umiliazioni e vessazioni. Cinque lunghi anni di ferite insanabili. "Mi sputava addosso, mi offendeva, mi prendeva a calci nello stomaco. Ma soprattutto, ha minacciato di sciogliere mia figlia nell'acido". Sara ha la voce rotta dal pianto mentre lo dice. C'è un audio che conserva nella memoria del suo smartphone: "Dimmi che mi ami, puttana. Perché tu sei una puttana, sei cattiva" ripete il suo aguzzino. "Sono finita in ospedale con tre emorragie intracraniche, mi ha picchiata in strada", continua. I ricordi affiorano in superficie come lame taglienti, spine dolorose di un passato che ora sta provando a gettarsi dietro le spalle. "Sono una donna libera adesso - tira un sospiro di sollievo - Spero solo di non doverlo rivedere mai più. Ho sempre paura che da un giorno all'altro possa ritornare in libertà. Io voglio e devo proteggere i miei bambini".
Un amore lampo: dopo 3 mesi di fidanzamento decidete di sposarvi. Com'era i primi tempi in cui stavate insieme?
"Un uomo normalissimo, gentile e premuroso. Non aveva mai dato segnali 'strani', nessuna spia d'allarme. Poi, dopo una sola settimana di matrimonio, ha cominciato a picchiarmi. Io ero incinta del nostro primo figlio, è stato terribile".
Quando è successo per la prima volta?
"Era nel dicembre del 2013, non lo dimenticherò mai. Erano le 4 del mattino, io ero a letto che dormivo. Ha preso il mio telefono e ha cominciato a spulciare tra i miei contatti. Ha telefonato a un ragazzo con cui uscivo molto tempo prima di conoscere lui per chiedere conferma del fatto che ci fossimo frequentati. Dopodiché mi ha svegliata dal sonno per picchiarmi. Io ero incinta del nostro primo figlio da pochissimi mesi e temevo di perderlo. In quel momento, l'unica preoccupazione che ho avuto era proteggere la vita che portavo in grembo. Mi sono raggomitolata sul letto, in posizione fetale, nel tentativo di parare la pancia dai colpi. Ecco, quella è stata la prima volta in cui ho temuto di morire. 'Ora mi ammazza', ricordo di aver pensato questo".
Da lì in poi, cosa è accaduto?
"Più o meno con cadenza settimanale, mi riempiva di botte. Schiaffi, insulti e calci nello stomaco erano di routine. Poteva accadere a qualunque ora del giorno o della notte, come gli girava".
Cosa scatenava la violenza?
"Tutto e niente. Se la giornata era storta o se non aveva soldi in tasca, si scatenava contro di me. Si metteva a cavalcioni sul mio corpo, mi teneva ferme le gambe, e poi picchiava forte. Ricordo che una volta lo ha fatto mentre eravamo in auto. Ha fermato la macchina, tirato giù il sedile e mi ha riempita di botte".
Che pensava lei quando la picchiava?
"Che prima o poi mi avrebbe ammazzata. Ma dovevo tenere duro, resistere. Avevo una bimba di 8 anni quando l'ho conosciuto e lui minacciava di farle del male se lo avessi lasciato. Una volta mi disse che l'avrebbe sciolta nell'acido, ero terrorizzata all'idea che potesse farle del male. Sopportavo per i miei figli ma era un'agonia continua".
Qual è stato il momento in cui ha realizzato che doveva lasciarlo?
"Nel luglio del 2016. Lui era andato via di casa per stare con un'altra donna ma continuava a tornare a casa per picchiarmi. Dico sempre che io ero il topo che provava a scappare e lui il gatto che giocava a farmi del male. Mi rivolsi ai servizi sociali, concordammo con gli assistenti che sarebbero venuti a prendere me e i miei figli quando lui non c'era. Ma quel giorno, lui era passato e notò l'auto dei servizi sociali ferma in strada. Così, dopo essersi allontanato, tornò indietro e mi riempì di botte. Sono finita in ospedale con traumi intracranici, mi ha pestata in modo brutale. Fu allora che decisi di denunciarlo per la prima volta".
Dopo come è andata?
"Lui è finito in carcere, io ero in una casa famiglia. Scriveva lettere, mi telefonava e diceva di amarmi. Mi dissero che aveva tentato il suicidio perché non riusciva a stare senza di me. Ebbi dei forti sensi di colpa, perché è con i sensi di colpa che lui mi teneva legata a sé oltre che alla paura di portarmi via i figli. Così, una volta fuori, decisi di riprovarci. I bimbi furono affidati ai nonni, mentre noi cercavamo di salvare il salvabile. Diceva di essere cambiato, che non avrebbe mai più alzato un dito su di me: bugie. Dopo 15 giorni, ha ricominciato a picchiarmi".
Poi un carabiniere l'ha salvata. Giusto?
"Sì, un carabiniere eccezionale. Lui diceva che ero una persona cattiva, meschina e che dovevo andarmene da quella casa. Mi attribuiva la colpa del fatto che non potesse stare con i suoi figli. Un giorno telefonò ai carabinieri per mandarmi via: si tirò la zappa sui piedi. Il militare registrò le sue dichiarazioni e le mie, gli parlò quasi fosse uno psicologo. Dopodiché mi prese in disparte. Ricordo esattamente quello che mi disse: 'Vuoi aspettare che ti ammazzi o lo lasci?'. Quel giorno l'ho denunciato con la consapevolezza che non ero sola. Ora è in carcere da un anno, spero di non doverlo mai più rivedere".
Come si sente lei oggi?
"Viva, libera. Finalmente posso lavorare e guadagnare dei soldi senza la paura che qualcuno possa sottrarmeli. Faccio quello che voglio e non ho più quegli assurdi sensi di colpa. Non ero io quello quella sbagliata, oggi finalmente l'ho capito".
Qual è il ricordo più doloroso di quegli anni di soprusi e botte?
"La faccia di mio figlio, 'il grande', quando mi domandava: 'Mamma, ma papà ti ha picchiato ancora?'. Ecco, quello è davvero un pugno allo stomaco, il più doloroso. Poi c'è mia figlia, oggi 15enne, che ha sempre provato a difendermi. Lei è il mio pilastro".
Cosa direbbe a una donna che oggi vive la sua stessa esperienza?
"Di denunciare sicuramente. Ma è pur vero che lo Stato deve fare qualcosa, deve aiutarti a rifarti a fare una vita. Io sarò sempre grata alle Forze dell'Ordine ma le istituzioni latitano ancora troppo. Le donne vittime di violenza hanno bisogno di supporto, un aiuto concreto per poterne uscire. Non basta denunciare il proprio aguzzino, abbiamo bisogno di essere accompagnate in un percorso di riabilitazione personale. Ne esci con le ossa rotte, in tutti i sensi, da queste situazioni".
Come immagina il proprio futuro?
"Tranquillo, magari con una piccola gastronomia da gestire. Anche se il mio desiderio più grande è quello di prendere casa e ritornare a vivere con i miei figli. Purtroppo, non posso permettermelo ancora. Io lavoro come cameriera e da quando c'è stata la pandemia non ho più continuità.
E in tutto questo, ringrazio sempre di non aver trascorso il lockdown con quell'uomo lì. Immagino quale inferno stia attraversando una donna costretta a condividere la casa con il partner violento 24 ore su 24. Qualcuno ci ha mai pensato?".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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