L'effetto, ieri mattina, di fronte ai telegiornali della Rai era piuttosto straniante. I conduttori, con gran cipiglio, leggevano con tono grave e antico - paradossalmente da Eiar - un comunicato dell'Usigrai (...)
(...) nel quale si attaccava la nuova par condicio e dunque il presunto tentativo del governo di utilizzare la televisione pubblica come megafono per le proprie azioni e silenziatore per le opposizioni, sottolineando la ferrea volontà dei giornalisti di viale Mazzini di non flettere la schiena di fronte al potere. L'effetto, ribadiamo, era straniante, perché la solennità della denuncia faceva venire il dubbio che lo Stivale fosse stato trasferito alla latitudine di qualche immaginifica dittatura sudamericana. Straniante soprattutto perché il lodo Fazzolari (nella foto) - questo è il nome del fantomatico cavillo che, secondo l'opposizione, avrebbe dovuto tappare la bocca all'opposizione stessa - non esisteva. Svanito nel nulla. Anche questa volta i martiri professionisti di oppressioni inesistenti devono riporre il loro vittimismo nell'armadio. Non c'è alcuna forzatura, nessuna stretta, nessun bavaglio. Tutto legittimo, conforme e assolutamente democratico. La prova e la controprova arrivano direttamente dall'Agcom - l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni - che sgombra il campo da ogni dubbio: «Nel Consiglio di oggi abbiamo approvato in via definitiva il nostro regolamento sulla par condicio, prendendo atto che il testo è perfettamente sovrapponibile con la delibera adottata dalla Commissione di vigilanza formulata anch'essa, pur con diverse variazioni lessicali, nel pieno rispetto delle regole fissate dalla legge 28 del 2000 e della legge 515 del 1993. Pertanto, le prerogative dei diversi soggetti istituzionali e politici rimangono inalterate nei termini fissati dalla normativa e, conseguentemente, i criteri e le valutazioni di Agcom nell'esercizio del suo dovere di vigilanza saranno gli stessi delle consultazioni precedenti e saranno applicati in modo uniforme sia per le tv private che per il servizio pubblico». A dirlo è Antonello Giacomelli, commissario Agcom e per più di quindici anni parlamentare del centrosinistra. Insomma la par condicio, nel bene e nel male, è sempre la stessa cosa. Niente di più e nulla di meno. Quindi per una settimana l'opposizione, la stampa radical e tutte le prefiche che hanno gridato alla censura, in realtà, hanno parlato del nulla. Di un cambiamento che non è avvenuto, dell'ennesimo allarme democratico che si è trasformato nella solita pantomima: intellettuali indignati, profili social listati a lutto, video virali del comunicato Rai come se viale Mazzini fosse a Pyongyang e non a Roma.
I componenti di Fdi in Commissione vigilanza Rai, da giorni nell'occhio del ciclone, brindano: «Grazie all'Agcom sul tema della par condicio è stata fatta definitivamente chiarezza, stroncando tutte le polemiche delle opposizioni e le clamorose falsità della sinistra. È stato ribadito, inoltre, che le regole sono uniformi, tanto per il Servizio pubblico quanto per le reti private, e che sono rimaste sempre le stesse. Quello che è cambiato, invece, è che la sinistra non è più al governo e per questo vorrebbe che le regole, che lei stessa aveva scritto, ora non valessero più».
Insomma, tanto rumore per nulla.
Un polverone gigantesco alzato solo per ingenerare confusione e creare una gigantesca fake news, alimentata dallo stesso sindacato dei giornalisti Rai e ora smontata, punto per punto, dall'Agcom. E sono solo i primi barbagli di una campagna elettorale che si preannuncia infuocata.
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