L'ostinata resistenza di Biden al coro crescente di politici democratici che chiedevano il suo ritiro a vita privata è diventata insostenibile solo quando la convention repubblicana di Milwaukee è stata dominata dall'esuberanza fisica di Donald Trump. Lo spettacolo è stato visto da molti milioni di persone che non avevano mai assistito a una convention repubblicana o di qualsiasi altro partito, ma si sono collegati perché volevano vedere non tanto il Trump candidato, bensí il Trump eroico e combattivo sopravvissuto all'attentato.
Fino a quel momento, la leggendaria resilienza di Biden aveva resistito. Una qualità che ha acquisito al prezzo di un'intensa sofferenza. Quando Biden apparve sulla scena di Washington nel 1973 come senatore trentenne appena eletto, aveva già subito due tragedie che gli avevano cambiato la vita. La prima è stata la rapida caduta del padre, uomo d'affari, piombato da un'elegante agiatezza a una totale povertà quando Biden aveva sette anni. La famiglia andò a vivere con i nonni mentre il padre cercava di guadagnare qualche dollaro con lavori saltuari. Ma il colpo più terribile fu la morte accidentale della moglie e della figlia di un anno, circa quaranta giorni dopo la sua elezione, nel novembre 1972.
Biden è stato poi continuamente rieletto ogni sei anni al Senato fino al 2008, quando è stato eletto contemporaneamente vicepresidente con Obama: una rarissima serie di 36 anni di vittorie ininterrotte alle elezioni senatoriali, resa possibile dalla crescente padronanza di Biden della «politica al dettaglio», che gli ha permesso di accontentare diversi gruppi di elettori. Nel mini-Stato di Biden, il Delaware, la cui popolazione era di poco superiore ai 600mila abitanti nel 1974, quando lo Stato di New York ne contava già quasi 20 milioni, non era difficile per un senatore incontrare faccia a faccia molti degli elettori per conquistarli, tanto più per Biden, che scelse di vivere nel Delaware per tutta la sua carriera senatoriale, facendo il pendolare in treno ogni giorno lavorativo. Una decisione utile dal punto di vista politico, ma è stato principalmente per i suoi due figli piccoli, sopravvissuti all'incidente d'auto della madre, che Biden non si è mai trasferito a Washington fino a quando non è diventato vicepresidente. Quando lo incontrai per la prima volta durante il suo primo mandato senatoriale, il leggendario guru politico e potente presidente della Camera Tip O'Neill diceva già che Biden sarebbe stato una personalità di Washington per decenni.
Molte cose sulla vita di Biden sono note, ma solo i futuri biografi riveleranno ciò che lui stesso ha rigorosamente tenuto nascosto al mondo: ovvero che durante i suoi otto anni da vicepresidente, Obama ha sistematicamente ignorato i suoi eccellenti consigli in materia di affari esteri, frutto di decenni di esperienza come membro molto attivo e presidente della commissione per le Relazioni Estere del Senato, che aveva ascoltato e interrogato centinaia di testimoni esperti, molti dei quali con una preziosa conoscenza personale del mondo al di là di Washington e del mondo accademico americano.
Sull'Irak e sull'Afghanistan, di gran lunga le questioni di politica estera più importanti durante i suoi otto anni di vicepresidenza, anche a causa dei loro costi multimiliardari, Biden era radicalmente in disaccordo con la politica che Obama ha ereditato e continuato a perseguire. Biden ha insistito sul fatto che l'Iran avrebbe controllato l'Irak, a meno che la sua influenza non fosse stata drasticamente limitata sostenendo un governo regionale sunnita oltre al governo regionale curdo, confinando così l'influenza dell'Iran a un terzo governo regionale sciita.
Ma Obama ha preferito i consigli di personaggi come Susan Rice, il suo consigliere per la Sicurezza nazionale, l'ambasciatrice alle Nazioni Unite Samantha Powers e il generale Petraeus, il cui bagaglio di frasi accademiche alla moda sui conflitti mondiali non avrebbe mai potuto competere con la conoscenza del mondo reale accumulata da Biden. Di conseguenza, oggi l'Iran fa quello che vuole in Irak, anche in conseguenza del totale fallimento di Obama nel contenere Teheran con una illusoria politica di appeasement. Un errore che è tragicamente sopravvissuto alla sua presidenza, perché ha imposto a Biden il suo «uomo di punta per l'Iran», l'amico personale e odiatore di Israele di seconda generazione Robert Malley, finché Malley non è stato finalmente messo da parte per ragioni di sicurezza.
Lo stesso è avvenuto in Afghanistan. Se Obama avesse seguito il consiglio di Biden, invece di ascoltare Petraeus - il telegenico generale con tanto di dottorato, in realtà molto simile alla Rice e alla Powers nel trascurare le realtà sul campo se si scontravano con le mode politiche -, gli Stati Uniti avrebbero potuto risparmiare trilioni di dollari e molte vite americane, abbandonando il tentativo donchisciottesco di addestrare ed equipaggiare l'esercito afghano. Biden ha insistito sul fatto che si trattava di un imbroglio totale fin dall'inizio, non solo perché i cosiddetti ufficiali afghani hanno comprato le loro promozioni con le tangenti, ma perché l'idea stessa era sbagliata. Biden ha sottolineato che i tagiki avrebbero combattuto solo per altri tagiki, gli uzbeki per gli uzbeki, gli hazarah per gli hazarah, e così via attraverso i diversi raggruppamenti tribali pathan, e che nessuno di loro avrebbe combattuto per un'astrazione chiamata Afghanistan, e ancor meno per l'inesistente nazione afghana.
Biden ha avuto bisogno di un'enorme autodisciplina per non reagire quando ha visto che il superficiale Obama veniva applaudito senza sosta nelle riunioni dell'élite politica statunitense a Washington e ad Aspen, Colorado, mentre lui stesso veniva ridicolizzato nelle cene di Georgetown. Ed è stata un'amara ironia che sia stato Biden, in qualità di presidente appena insediato, a essere universalmente incolpato per la totale disfatta dell'esercito afghano, addestrato e armato a caro prezzo, pochi mesi dopo il suo insediamento.
Ora Biden, uscendo di scena, ha di nuovo sfidato la sorte, cercando di nominare Kamala Harris come candidata democratica, prima della convention di Chicago prevista per il 19-22 agosto. Il fatto che Harris sia una politica straordinariamente calcolatrice, che ha iniziato a perseguire le più alte cariche prima dei 18 anni, scegliendo un'identità nera anziché indiana, e scegliendo la modesta istruzione della Howard University anziché Stanford, dove il padre giamaicano di alta élite avrebbe insegnato a lungo, a causa della sua confraternita politicamente potente Alpha Kappa Alpha, può soltanto mitigare le sue tremende carenze come candidata alla Casa Bianca.
Come vicepresidente le era stato affidato un compito: fermare l'ondata politicamente disastrosa di milioni di immigrati clandestini che attraversavano il confine con il Messico. Ha fatto una brevissima e inutile visita al confine invece di rimanere a Washington per mettere a punto e attivare misure efficaci per ridurre drasticamente l'afflusso di immigrati: aggiungere personale da altre agenzie di polizia federale, adottare procedure di rimpatrio immediato e così via. Di conseguenza, Kamala Harris ha fallito quando le è stata offerta l'unica opportunità di dimostrare la sua capacità di governare il Paese.
Inoltre, durante la sua visita alla frontiera, il tic nervoso che porta Kamala Harris a scoppiare in una risata incontrollabile era in piena evidenza in uno scenario particolarmente desolante. Sembra improbabile che possa cavarsela bene in una campagna contro Trump, a meno che il suo vicepresidente non riesca a fare per lei ancora più di quanto l'intelligente Vance, con la sua moglie non bianca e molto istruita, possa fare per Trump.
Da privato cittadino che decenni fa era amico di Biden nonostante le divergenti preferenze politiche, non provo alcun piacere nell'anticipare cosa avverrà: o la scelta del successore di Biden sarà scavalcata dalla Convenzione democratica di Chicago o si tradurrà in una débâcle a novembre.
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