Lo stupore provato a maggio dell'anno scorso può essere rinnovato: il caso di Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, continua a far discutere. Qualche giorno fa, fratel Bianchi ha deciso di spiegare in pubblico i perché del suo mancato trasferimento dalla realtà che ha fondato. L'ormai ex priore ha elencato una serie di motivazioni per cui non si è ancora trasferito. C'è del particolare in questa vicenda. Se non altro perché il Papa avrebbe deciso. Ci si aspetta, dunque, che la volontà del pontefice argentino, che nel frattempo è impegnato in uno storico viaggio in Iraq in piena pandemia, venga rispettata. E che padre Bianchi si rechi dunque in Toscana, dove dovrebbe andare secondo le disposizioni della Santa Sede.
Certo, Bianchi è un esponente del cosiddetto "campo progressista". Il che potrebbe aver suscitato qualche perplessità rispetto alla decisione del Santo Padre, che in molti assegnano proprio a quell'emisfero culturale. Ma Jorge Mario Bergoglio ha dimostrato più volte non poter essere banalizzato, tanto nella sua azione quanto nel suo pensiero. Niente per cui stupirsi, dunque, visto che il Papa ha già dimostrato di essere molto meno "politico" di come viene raccontato da certe frange. La Chiesa di papa Francesco è sì "in uscita", ma di certo non propagandistica e schiacciata su logiche di appartenenza a quella o a questa corrente dottrinale. Non è mai stata e non può essere una questione di "magliette". In queste ore, peraltro, un articolo pubblicato su Repubblica ha ventilato un'ipotesi di scissione: possibile che il "caso" Enzo Bianchi possa comportare questo?
La linea ferma del Papa
Bergoglio si è occupato della vicenda dell'allontanamento di padre Bianchi poco prima di partire per l'Iraq. Francesco, dopo l'udienza con padre Amedeo Cencini, che è l'ecclesiastico scelto quale delegato dello stesso pontefice per la Comunità di Bose, ha di nuovo ribadito la sua volontà - come vertice assoluto della Chiesa - attraverso un comunicato stampa della Santa Sede. Nel comunicato, viene ribadita la "sollecitudine nell’accompagnare il cammino di conversione e di ripresa della comunità secondo gli orientamenti e le modalità definite con chiarezza nel decreto". E cioè padre Bianchi deve, per volontà del vescovo di Roma, abbandonare la comunità monastica che ha fondato durante la metà degli anni 60'. Vale la pena sottolineare come all'udienza con il Papa fosse presente anche Luciano Manicardi, il nuovo priore di Bose verso cui il Papa nutre piena fiducia.
Le motivazioni di Enzo Bianchi
Come premesso, fratel Bianchi ha parlato. Il fondatore di Bose ha voluto fornire le motivazioni del perché non abbia ancora assecondato la volontà del Papa. Già nella premessa, può essere notato un tono polemico: "Nel Decreto del Segretario di Stato consegnatoci il 21 maggio 2020, - ha fatto sapere Enzo Bianchi - veniva chiesto a me, a due fratelli e a una sorella l'allontanamento da Bose a causa di comportamenti a noi mai indicati e spiegati che avrebbero intralciato l'esercizio del ministero del priore di Bose, fr. Luciano Manicardi. Pur non avvallando le calunnie espresse nel Decreto, coscienti che non ci era consentito l'esercizio del diritto fondamentale alla difesa (come sancito dalla Carta dei diritti umani e dalla Convenzione europea) abbiamo obbedito al Decreto".
Insomma, il Vaticano non avrebbe chiarito i motivi per cui è stato richiesto un allontamento. Poi - come riportato dall'Andkronos - l'ex priore ha voluto specificare: "E a seguito di questa situazione e non per altre ragioni, - continua il fratel - che non ho potuto lasciare l'eremo nel quale vivo da più di quindici anni e si trova dietro alla collina della Comunità di Bose. Alla consegna del Decreto ho da subito interrotto ogni rapporto con i membri della Comunità, incontrando soltanto un fratello incaricato dal priore per la mia assistenza quotidiana. Pertanto, l'allontanamento concreto l'ho realizzato ma non abbastanza lontano come indicato dal Decreto". Al netto delle rimarcate difficoltà nel cercare un'altra sistemazione per via delle condizioni di salute, della situazione legata al Covid-19, per i prezzi delle case e così via, Bianchi si sarebbe allontanato de facto. Mancherebbe solo il trasferimento per obbedire alle disposizioni. Solo che il fulcro del Decreto è proprio quello. Peraltro l'ex priore ha parlato pure di condizioni "disumane ed offensive" legate al trasferimento.
Perché il caso fa discutere
Attorno a questa vicenda esistono almeno due elementi di discussione: uno correlato alla disobbedienza di Bianchi nei confronti dell'atto dell' ex arcivescovo di Buenos Aires ed un altro relativo invece al contesto in cui tutto questo sta avvenendo. Bose non è una comunità come un'altra, perché può rappresentare meglio di altre quel concetto di "Chiesa in uscita" che Bergoglio ha introdotto e che ora potrebbe essere rinnovato pure in Italia tramite l'organizzazione di un vero e proprio Sinodo dell'episcopato. Ma il fatto che l'ex priore di Bose non se ne sia andato come Bergoglio ha deciso può aver distrutto parte delle certezze tra gli opinionisti. Almeno tra quelli sicuri che Francesco e Bianchi non avrebbero mai potuto non essere in sincronia. La faccenda - com'è stato fatto notare da più parti - interessa soprattutto commentatori ed ambienti progressisti. Tra coloro che si stanno distinguendo per la difesa di Bianchi, ad esempio, c'è il professor Massimo Recalcati.
Perché Enzo Bianchi deve abbandonare Bose
L'altro fattore è appunto la disobbedienza nei confronti del Sovrano pontefice. Ma come stanno le cose di questa "cacciata"? Quali sono i fatti da tenere in considerazione per arrivare ad avere un'opinione in merito? E perché, in ultimo, sulla base del diritto canonico, Enzo Bianchi dovrebbe banalmente accettare quanto scritto sul decreto? L'avvocato Vito Livadia, canonista, fotografa il quadro di partenza: "Sappiamo che Papa Francesco ha inviato alcuni visitatori presso la comunità di Bose nei primi mesi del 2020, i quali hanno redatto una “Charta Visitationis”, alla quale ha fatto seguito un Decreto singolare emanato dal Papa il 13 maggio 2020 firmato dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin". Si deduce subito come l'atto sia direttamente del Papa, dunque, come chiarisce l'esperto che abbiamo voluto interpellare per ilGiornale.it. Il canonista continua: "Di fronte ad un decreto singolare il priore di Bose è tenuto ad obbedire ed uniformarsi al dettato normativo in esso contenuto, poiché le due norme da leggersi in combinato disposto ossia il canone 35 CIC ed il canone 333 § 3, mettono in evidenza un quadro normativo ben chiaro e cioè che l'atto amministrativo singolare ha un destinatario concreto, nel caso in esame il priore di Bose". Il priore, come detto, adesso è un altro. Quindi, anche per via di una successione ormai avvenuta (e magari per evitare sovrapposizione di "poteri"), il Papa si è mosso con un decreto singolare, che per Livadia "è distinto dalla legge, dalla consuetudine, dai decreti generali e dalle istruzioni che invece hanno valore generale; soprattutto è emesso da chi nella Chiesa ha potestà esecutiva". E fin qui è tutto chiaro. Ma può Enzo Bianchi non adempiere alle volontà papali? "...
il Romano Pontefice - spiega il canonista -, godendo di potestà ordinaria, suprema, piena, immediata ed universale su tutta la Chiesa che può esercitare liberamente, in forza del disposto del canone 333 § 3 CIC, una volta esercitata tale potestà a mezzo degli atti ritenuti opportuni per la singola fattispecie, contro tali atti che siano sentenze o decreti del Romano pontefice, non è ammessa, come sancisce espressamente la norma, né l'interposizione dell'appello né si dà facoltà di proporre ricorso", chiosa l'avvocato Livadia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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