"Siamo un giornale, non una caserma". Marco Travaglio ci ha messo una pezza sopra, ma non è bastato. Il paragone militaresco usato dal direttore del Fatto Quotidiano, del resto, non era casuale: a giudicare dal tenore delle polemiche e delle accuse reciproche, il clima nel quotidiano più giustizialista d'Italia sembra infatti quello dell'ammutinamento. Volano sgambetti, coltellate, colpi gobbi. Ad accendere le polveri e a scatenare l'implosione, una lettera di fuoco scritta da Furio Colombo - editorialista della testata - allo stesso Travaglio: nella missiva, una presa di distanze severa rispetto alla decisione del direttore di ospitare sul Fatto alcune firme ritenute filorusse. Una tra tutte: quella del professor Alessandro Orsini.
Già, perché a indignare Colombo sono stati innanzitutto alcuni articoli pubblicati dall'ex docente Luiss con la consueta girandola di tesi discutibili. "All'improvviso mi sono trovato a scrivere su questo giornale (...) accanto a un collega che non conoscevo e che non vorrei conoscere, caro a tutti coloro che pensano che l'America sia il vero pericolo dei popoli e delle democrazie...", ha lamentato l'ex direttore de L'Unità, che nella sua intemerata contro il Fatto se l'è presa anche con un'altra firma della testata, probabilmente quella di Massimo Fini. Ed è scattato il rimbrotto. "È inevitabile respingere visioni che portano disorientamento e informazioni inesistenti o distorte, se compaiono accanto al tuo lavoro nel giornale per cui scrivi, fiducioso, da molti anni", ha osservato Colombo.
Poi la scoppola sul professor Orsini. Il docente - ha attaccato l'ex direttore de L'Unità - "ha funzionato come il frate che solleva i confratelli e i fedeli per riformare una chiesa. Dopo di lui niente è più come sembra, perché Orsini ha scosso con forza e con violenza la fiducia di chi legge e di chi scrive su un giornale su cui lascia una pesante impronta, una sorta di esclusiva". Un attacco frontale allo stesso Travaglio, reo di aver dato eccessivo spazio al sociologo campano, i cui "studi" - ha accusato Colombo - "falsificano fino ai dettagli la storia di questo Paese e del contesto politico e umano di cui siamo parte". Da qui, l'ennesima bordata. "Come fai a scrivergli accanto? Chi dei due è il falsario?". Irritato, deluso, stupito, Colombo ha comunicato di voler lasciare il Fatto, in pieno disaccordo con la nuova linea intrapresa e con la presenza di Orsini.
"Non voglio apparire in alcun modo lo sponsor di un simile personaggio", ha dichiarato il giornalista all'Adnkronos, comunicando: "Sì, Travaglio e Padellaro, gentilmente, mi hanno chiesto di non interrompere. Ma, purtroppo, non è possibile, perché è un Fatto quotidiano che non conosco...". All'attacco ricevuto, lo stesso Travaglio aveva risposto dalle colonne del proprio quotidiano. "Orsini non è arrivato al Fatto facendo irruzione manu militari: l'ho chiamato io...", aveva spiegato il direttore, replicando a tono al collega. "Caro Furio, tu non condividi quello che scrivono Fini e Orsini e immagino chela cosa sia reciproca. Io, soprattutto sulla guerra in Ucraina, non condivido ciò che scrivi tu, ma pubblico tutto ciò che scrivi. Dov' è il problema? Siamo un giornale, non una caserma".
E così, nel clima da tutti contro tutti, ci sono finite inevitabilmente anche altre icone del giornale travagliesco. "Condivido gli stati d'animo di Furio Colombo e nella sostanza, al di là dei dettagli, condivido il suo punto di vista", ha commentato ad esempio Gad Lerner. Mentre Peter Gomez e Antonio Padellaro hanno sposato la linea di Travaglio. E chiaramente non poteva mancare il punto di vista dello stesso Orsini, intervenuto proprio sulle pagine del Fatto per dire nuovamente la sua.
"Ho letto e riletto più volte l'intervento di Furio Colombo, ma francamente non sono riuscito a capire quando e dove avrei peccato così gravemente da mettere addirittura in pericolo la sua permanenza ('complicità') al Fatto Sorvolo sugli insulti alla mia persona e alla mia professionalità, ai quali mi sto lentamente e faticosamente abituando", ha osservato il sociologo.Tra accuse, invettive, porte sbattute e frecciate, l'agorà pacifista del Fatto somiglia sempre più a un ring.
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