La Chiesa italiana gela la sinistra su Meloni: "Nessun pericolo fascismo"

Il cardinale Matteo Zuppi apre al dialogo con il nuovo governo e smorza i toni più allarmistici. Ma con la premier in pectore restano le differenze

La Chiesa italiana gela la sinistra su Meloni: "Nessun pericolo fascismo"

In questa settimana è arrivata dalla Cei un’importante apertura di credito ad un eventuale governo Meloni perché “chi ha vinto le elezioni è stato indicato dalla maggioranza del Paese”. Le parole utilizzate dal cardinale Matteo Maria Zuppi in un’intervista a La Stampa possono apparire scontate ma non a chi ricorda bene l’atteggiamento che la Conferenza episcopale adottò nel 2018 di fronte al risultato delle elezioni politiche e nelle fasi della formazione del primo governo Conte.

Nelle conclusioni del Consiglio episcopale permanente del marzo 2018, l’allora presidente Gualtiero Bassetti non nascose lo scetticismo per l’exploit elettorale di Movimento 5 Stelle e Lega, definendolo “una forma di protagonismo e di consenso dal basso, attivo e diffusa” che “non è ancora prova di autentica partecipazione democratica”. Nel corso delle trattative tra grillini e leghisti per la nascita del cosiddetto governo del cambiamento, il cardinale Bassetti stigmatizzò pubblicamente quel tentativo facendo sapere in un’intervista su Famiglia Cristiana che la parola ‘contratto’ non gli piaceva. La diffidenza della Cei verso il governo gialloverde fu una costante in tutta la breve durata di quell’esperimento e si manifestò soprattutto sulle politiche di controllo dei flussi migratori e sull’approccio con l’Unione Europea. Bassetti parlò esplicitamente di “preoccupazione” allo scoppio del caso della nave Acquarius e l’unica parentesi di collaborazione con il Viminale all’epoca occupato da Matteo Salvini si vide con la risoluzione in tandem del caso Diciotti, nell’agosto del 2018.

Il governo Meloni deve ancora nascere ma sin da ora si capisce che non vedremo un sequel della stagione gialloverde sull’asse Via Aurelia-Palazzo Chigi. Il merito va soprattutto al profilo del nuovo presidente, quel cardinale Matteo Maria Zuppi che ha fatto dell’inclinazione al dialogo con tutti e della capacità di non avere pregiudizi nei confronti di nessuno il suo metodo pastorale, da sempre.

D’altra parte, a ridosso della scelta della terna dei tre candidati a succedere a Bassetti, papa Francesco aveva fatto sapere di volere in quel ruolo un cardinale – e dunque restringendo il campo – che fosse autorevole. E l’autorevolezza dell’arcivescovo di Bologna supera anche i confini ecclesiali, forte anche di un curriculum in cui può vantare l’azione mediatrice svolta nel 1992 nella firma dell’accordo di pace tra il governo e i ribelli del Mozambico che, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, ha messo fine ad una guerra civile lunga 17 anni.

Dopo le elezioni, a dispetto dei toni apocalittici utilizzati da molti, ‘don Matteo’ ha fatto un invito al buon senso ricordando in un’intervista ad Avvenire che “quando gli italiani scelgono il loro futuro non è mai un brutto giorno” ma piuttosto è “esercizio della democrazia” e “noi dobbiamo credere alla forza e alla bellezza della democrazia”. Nella già citata intervista a La Stampa, Zuppi ha rimarcato il concetto, confidando di non credere al pericolo di un ritorno del fascismo con l’avvento al potere di Giorgia Meloni.

Dunque, dalla Chiesa italiana non ci saranno pregiudiziali contro quello che potrebbe essere il governo più a destra della storia repubblicana ma questo non deve far pensare ad un allineamento con il programma politico della vincitrice delle elezioni. Al contrario, il presidente ha avvertito che la Cei avrà uno “sguardo attento e severo circa le scelte del nuovo governo” e c’è da scommettere che questa particolare attenzione sarà riservata a tutto ciò che riguarda la difesa dei più deboli e dei più fragili. Insomma, la Conferenza episcopale non rimarrà silente se da parte del nuovo esecutivo ci dovessero essere prove muscolari in materia d’immigrazione. Ma è difficile immaginare che tra Palazzo Chigi e Via Aurelia si instauri un clima di scontro perenne su cui l’opposizione possa sperare di far leva.

Zuppi e Meloni si sono conosciuti e quest’ultima gli ha inviato le sue congratulazioni in occasione della designazione alla guida dei vescovi italiani, a maggio scorso. Entrambi, subito dopo le urne, hanno voluto insistere sul senso di responsabilità di chi governa in un momento così difficile ed hanno richiamato il concetto di interesse nazionale. Lo spirito collaborativo del porporato romano, tuttavia, non deve dare adito a fraintendimenti: la presidente del consiglio in pectore e il presidente della Conferenza episcopale non parleranno la stessa lingua. La prova c’è su uno dei dossier più scottanti nell’attualità: la guerra.

Il cardinale, infatti, è uno dei più fedeli sostenitori della linea di Francesco favorevole al dialogo con l’aggressore anche se “puzza”, come ha detto il pontefice sul volo di ritorno in Kazakistan. Così come il papa, Zuppi non dà alibi al Cremlino e difatti nell’omelia pronunciata ad Assisi pochi giorni fa ha detto chiaramente che nel conflitto c’è “un aggressore ed un aggredito”. Ma, anche in virtù della sua esperienza in scenari internazionali complessi, pare convinto che più armi non siano lo strumento migliore per arrivare alla pace. A tal proposito, in un’intervista a La Repubblica ha sostenuto che “oggi in Ucraina c'è bisogno di avviare il dialogo: fosse anche solo esplorativo, ma va avviato”. Operando un parallelismo con quanto da lui visto da vicino in Africa, Zuppi ha detto che in Ucraina (…) si può pensare, erroneamente, che la pace sia data dal vincere la guerra con le armi” mentre in Mozambico “non c'era l'ipotesi di una vittoria militare”. Un’affermazione che, per l’uso dell’avverbio “erroneamente”, fa capire la sua sintonia con il papa. Meloni, invece, si è dimostrata finora la più inflessibile interprete politica italiana della linea dura di Usa, Regno Unito e Ue. La leader Fdi, infatti, non è disponibile a mettere in discussione l’invio di ulteriori armi a Kiev, nella convinzione che uno stop farebbe apparire l’Italia “inaffidabile” agli occhi della comunità internazionale.

E’ ipotizzabile, dunque, che in caso di un’eventuale escalation militare così come di politiche migratorie più restrittive, i toni del presidente della Cei saranno ben diversi da quelli della presidente del consiglio in pectore ma il rapporto tra i due parte senza preconcetti e all’insegna del rispetto.

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