Il conflitto in Ucraina ha conosciuto un'ulteriore escalation questa settimana dopo che Vladimir Putin ha dichiarato la mobilitazione parziale dei riservisti ed evocato persino il ricorso al nucleare. All'Assemblea generale delle Nazioni Unite sono volati metaforici "schiaffi" tra il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che ha giustificato come "inevitabile" l'intervento in Ucraina per quelle che ha definito le "attività anti-russe e criminali" portate avanti dal "regime di Kiev". Dal canto suo, il loro omologo ucraino Dmytro Kuleba ha detto che "nessuna parola può fermare le forze russe, quello che può fermarle sono nuove armi".
Se i rappresentanti di Londra e Bruxelles hanno fatto blocco a sostegno della difesa militare di Kiev, Pechino ha continuato a insistere sulla necessità di riprendere la via diplomatica. Il ministro degli Esteri Wang Yi ha chiesto di "promuovere la pace e il dialogo" perchè un'escalation "non è nell'interesse di nessuno". Un appello, dunque, ai governi occidentali a non isolare Mosca sul piano diplomatico.
Una linea, quella cinese, simile a quella della Santa Sede, che non ha rinunciato al dialogo con i rappresentanti del Cremlino e l'ha messo in pratica anche a New York. A margine dell'Assemblea generale, infatti, Lavrov ha incontrato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Il porporato veneto è anche l'uomo a cui il Papa ha affidato il delicato dossier dei rapporti sino-vaticani e per questo definito "un grande in questo punto". Nel faccia a faccia tra i due diplomatici è possibile che Parolin abbia fatto presente la preoccupazione della Santa Sede per l'aumento delle tensioni ed abbia ripetuto anche a lui, così come espresso nella decima riunione degli Amici del Ctbt, l'appello a far entrare in vigore il Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari.
Francesco lo aveva detto sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Kazakistan di non voler escludere il dialogo con "qualsiasi potenza che sia in guerra, sia pure l'aggressore". "A volte il dialogo si deve fare così, ma si deve fare, puzza ma si deve fare", aveva risposto Bergoglio alla domanda di un giornalista polacco sostenendo che in caso contrario si finisce per chiudere "l'unica porta ragionevole per la pace". Una strada che per la Santa Sede vale la pena intraprendere a maggior ragione di fronte alla minaccia nucleare.
La possibile opera di mediazione del Palazzo Apostolico, che già nei mesi scorsi aveva incassato il plauso del Cremlino attraverso le parole del direttore del primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, Alexei Paramonov, poggerebbe su basi già esistenti: l'allacciamento di piene relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Federazione Russa risale al 2009 e ha rappresentato un punto di arrivo di un percorso complesso ma cominciato già ai tempi di Giovanni Paolo II e Mikhail Gorbaciov.
Il filo diretto va avanti anche grazie alla presenza di un nunzio apostolico presso la Federazione, monsignor Giovanni D’Aniello, forte di un'esperienza in America Latina, che i russi hanno avuto modo di apprezzare. In occasione di un incontro con il patriarca di Mosca immediatamente successivo allo scoppio del conflitto, il rappresentante pontificio ha avuto modo di ascoltare le parole di Kirill per quella che è stata definita la "posizione moderata e saggia della Santa Sede su molte questioni internazionali".
Il canale, seppur in altra forma, viene tenuto aperto anche dall'arcivescovo di Mosca e presidente dei vescovi russi, monsignor Paolo Pezzi che in una recente intervista ha sottolineato come "il problema principale sia quello di trovare una via di uscita che non faccia sentire nessuno sconfitto" riconoscendo che "proprio questa è la difficoltà più grossa" perché ciò è possibile "solamente con un sacrificio di sé" in una situazione in cui, però, "sembra oggettivamente difficile che qualcuno sia disposto a fare il primo passo". La Chiesa cattolica in Russia, ha detto monsignor Pezzi, si muove su questa via che è quella indicata anche dal Papa.
La Santa Sede, quindi, è un interlocutore conosciuto e rispettato anche per il Cremlino e questo può risultare una risorsa importante in un momento in cui lo scontro con l'Occidente sembra accendersi. In forza alla Segreteria di Stato, peraltro, c'è anche uno degli uomini che più ha contribuito all'instaurazione delle relazioni ufficiali russo-vaticane dopo anni di tensioni, l'esperto monsignor Antonio Mennini, già primo nunzio apostolico in loco, che parla fluentemente russo e a cui l'allora presidente russo Dmitrij Medvedev conferì l'Ordine dell'Amicizia per il suo impegno nel disgelo tra Roma e Mosca.
A portare avanti principalmente quel dialogo che - come ha detto Francesco - "puzza" sarà principalmente il numero uno della diplomazia pontificia, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin che già nel 2017 ebbe modo di incontrare Putin a Sochi e al quale già all'epoca - alla presenza anche del ministro Lavrov - aveva espresso i timori della Santa Sede per la situazione in Ucraina perché servivano "soluzioni negoziate e politiche e non affidate soltanto
ai rapporti di forza, anche perché una soluzione che sia solo di forza magari sistema le cose sul momento, ma poi lascia che il fuoco covi sotto la cenere". Parole che, a rileggerle oggi, suonano quasi profetiche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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