La Chiesa cambia, ma non è una "rivoluzione": ecco perché

Papa Francesco promulga la nuova Costituzione apostolica. Tra qualche cambiamento gerarchico e qualche novità di rilievo, manca la rivoluzione complessiva che la sinistra ecclesiastica attendeva

La Chiesa cambia, ma non è una "rivoluzione": ecco perché
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La rivoluzione della Chiesa non c'è e questo si sapeva da qualche tempo. Jorge Mario Bergoglio, dopo nove anni di pontificato, ha promulgato la Costituzione apostolica a cui, per molto tempo, ha lavorato fianco a fianco con il C9, il consiglio ristretto dei cardinali.

Di cambiamenti drastici - come premesso - non ce ne sono. E forse più di qualcuno, nella parte sinistra degli schieramenti dottrinali, resterà con un po' di amaro in bocca.

Tornando indietro nel tempo, e cioè a quando papa Francesco è stato eletto in Conclave, può essere rammentato uno dei motivi per cui i cardinali hanno scelto un pontefice "venuto dalla fine del mondo": la riforma della Curia romana, che molti scandali aveva destato durante il regno di Joseph Ratzinger e che, con l'argentino sul soglio, sarebbe così finita nelle mani di un alto ecclesiastico distante dalle logiche dei sacri palazzi.

Praedicate Evangelium, che entra in vigore all'inizio di giugno, prende il posto della Pastor bonus di San Giovanni Paolo II, un testo che aveva trentaquattro anni di vita. Se è vero che papa Francesco non ha destrutturato l'impostazione precedente, è vero pure che il messaggio è tanto chiaro quanto consueto per le corde di questo pontificato: la Chiesa cattolica, compresa quella di Roma, dev'essere "in uscita" e quindi "missionaria". Non stupisce, dunque, il fatto che il vescovo di Roma abbia inteso scompaginare in gerarchia alcune Congregazioni.

Il Dicastero per l'Evangelizzazione diviene primus inter pares. Francesco non ha solo semplificato, inserendo all'interno di quella Congregazione anche l'ex Propaganda Fide, ma ha disposto che a presiedere l'organismo sia lo stesso vescovo di Roma, che potrà contare sull'ausilio di due alti ecclesiastici con facoltà di decidere in concordia ed unità con il Papa, così come riporta l'Ansa. Chi ci "rimette", per così dire, è la Congregazione per la Dottrina della Fede che, metaforicamente parlando, scende di piazzamento (ma mantiene la sua centralità).

Una scelta che può essere interpretata: l'ex Sant'Uffizio è considerato il perno della Chiesa cattolica da chi fa delle questioni dottrinali il cuore della vita ecclesiastica. I teologi, per intenderci, non possono che riferisi alla Doctrina fidei come al bastione del cattolicesimo. Ma Bergoglio non è Benedetto XVI ed alle questioni dottrinali Francesco ha sempre preferito la "misericordia" ed il pragmatismo.

L'altra novità di rilievo risiede nel Dicastero per il Servizio della Carità, che sino a Praedicate Evangelium non esisteva. Nella volontà di dare vita a questa Congregazione, che peraltro sarà presieduta dall'elemosiniere del pontefice, dunque ora dal cardinal Konrad Krajewski, ribadisce per l'ennesima volta l'indicazione principe del gesuita: la mondanità dell'attività curiale, anche quella teologico-correntizia, va respinta, mentre bisogna privilegiare le azioni concrete al di fuori delle mura delle sacre stanze.

Il Papa, infine, ha insistito - come peraltro era già noto per via di alcune persone individuate in

questi nove anni (si pensi al Dicastero per la Comunicazione) - sulla possibilità che anche i laici, a patto che siano "integri" e "professionali", possano ricoprire l'incarico di vertice di un Dicastero.

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