Il codice Ribera. L'ideologia anti europea

La socialista Ribera, mentre un'ondata di licenziamenti sta decimando gli addetti del settore, ha ripetuto che non ci sarà nessun rinvio allo stop ai motori diesel e benzina del 2035

Il codice Ribera. L'ideologia anti europea
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La crisi dell'auto in Europa, Stellantis ma non solo, offre un'immagine plastica del sottile male presente nel Dna della sinistra, che l'accompagna fin dalla nascita: cioè la pretesa di piegare la realtà all'ideologia. Ora nella crisi dell'erede del marchio automobilistico che ha rappresentato per cento anni il paradigma dell'Italia nel mondo ci sono tante ragioni: un manager sbagliato, assenza d'investimenti, logiche finanziarie che hanno avuto la meglio su quelle imprenditoriali. Detto ciò, però, è l'intero settore dell'automotive europeo in difficoltà. Ci sono marchi di eccellenza tedeschi come francesi che sentono i morsi della crisi per cui è inutile girarci attorno: il detonatore che ha fatto esplodere il comparto è stata la scelta di imporre il mito dell'elettrico senza «se» e senza «ma» per andare incontro alle pretese di un ambientalismo dogmatico. L'Europa, in preda appunto a un'ideologia che dai Verdi ha contagiato una sinistra in cerca di nuovi orizzonti, lo ha fatto accelerando il processo di abbandono del motore a scoppio, stabilendo tappe forzate senza tenere conto dei dati della realtà.

Ancora ieri il commissario all'Ambiente della Ue, la socialista Ribera, mentre un'ondata di licenziamenti sta decimando in tutto il vecchio continente gli addetti del settore, ha ripetuto che non ci sarà nessun rinvio allo stop ai motori diesel e benzina del 2035. È vietata la categoria del dubbio, come pure una piccola dose di realismo o di sano pragmatismo. Pura ideologia calata dall'alto come i piani quinquennali di Stalin nell'economia sovietica.

Ora che ci sia bisogno di una maggiore sensibilità sul tema ambientale, compreso il problema delle emissioni delle auto, nessuno lo mette in dubbio. Solo che certi processi per evitare meccanismi di rigetto dovrebbero essere guidati, assecondati in modo da trovare nell'analisi della situazione e nei tempi un equilibrio tra i «pro» e i «contro». Ad esempio, incrociando i dati dell'European Enviroment Agency e le tabelle dell'International Energy Agency si scopre che le auto presenti sul territorio europeo hanno contribuito nel 2019 per l'1% nel calcolo globale per le emissioni di CO2. Un dato lontanissimo da quello Usa, cinese o indiano. Un niente se si pensa ai costi sociali che richiede una rivoluzione ispirata alla tempistica europea. Eppure pervasa da una sorta di giacobinismo ambientalista la sinistra non sente ragioni a Bruxelles come a Roma.

Un atteggiamento manicheo che nel tempo potrebbe rivelarsi un boomerang. In Italia l'incidente di Chernobyl determinò una sorta di allergia all'opzione nucleare: ora che le centrali di terza, quarta generazione rappresentano forse lo strumento più ecologico per produrre energia, il nostro Paese è bloccato, non riesce a tornare indietro. All'opposto se l'opzione elettrica determinasse la desertificazione del settore automotive in Europa, lo shock potrebbe determinare l'abbandono brusco di quella scelta per sai quanto tempo. In sintesi: certe decisioni non possono essere prese sull'onda di ondate emozionali, per soddisfare le Grete di turno.

Bisogna guardare ai dati: ci sarà un motivo se rimpiangiamo ancora Sergio Marchionne che interpretò il ruolo di Cassandra sull'opzione elettrica, mentre non ci abbiamo pensato un attimo a liberarci di Carlos Tavares che ne è stato il Profeta.

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