Il 7 novembre è stato pubblicato un «Appello da parte di accademici e accademiche italiane per chiedere un'urgente azione per un cessate il fuoco immediato e il rispetto del diritto umanitario internazionale». In 48 ore ha raccolto l'adesione di 3.862 accademici. L'appello inizia così: «In quanto membri delle comunità accademiche e dei centri di ricerca italiani, scriviamo questa lettera in nome della pace e della giustizia, uniti dalla richiesta di porre un'immediata fine alla guerra in corso contro Gaza».
Chiariamo subito che la guerra non è mai stata «contro Gaza», né contro la popolazione palestinese di Gaza, ma con l'obiettivo esplicito di «sconfiggere Hamas», come legittima reazione all'attacco terroristico perpetrato il 7 ottobre e culminato nella strage di 1400 israeliani ebrei, tra cui 29 bambini, i cui corpi sono stati decapitati, fatti a pezzi, bruciati.
Hamas è un'organizzazione terroristica messa al bando dalla Ue e dagli Stati Uniti. Nel 2007 Hamas ha preso violentemente il controllo della Striscia di Gaza sferrando una guerra fratricida contro l'Autorità Palestinese, la sola istituzione riconosciuta internazionalmente, a cui Israele aveva affidato l'amministrazione della Striscia di Gaza dopo il suo definitivo ritiro nel 2005. Hamas è l'acronimo di «Movimento di Resistenza Islamica», in cui il termine «Palestina» o «palestinese» è assente. L'obiettivo ufficiale di Hamas, sancito dal suo Statuto, non è la nascita di uno Stato della Palestina che conviva pacificamente al fianco di Israele, ma è la distruzione di Israele e lo sterminio del popolo ebraico, con la «fine dell'entità sionista» e la vittoria della «Palestina libera dal fiume al mare», dal Giordano al Mediterraneo.
L'ignoranza della Storia degli accademici è nel passaggio in cui individuano la radice del conflitto «nella illegale occupazione che Israele impone alla popolazione palestinese da oltre 75 anni, attraverso una forma di segregazione razziale ed etnica». Ma nella Storia non è mai esistito né uno «Stato della Palestina», né un «popolo palestinese», né Gerusalemme è mai stata capitale della Palestina o città santa dell'islam.
«Palestina» è sempre stata la denominazione di un territorio geografico, non di un'entità politica, a partire dal 135 quando l'imperatore Adriano, nella Terza guerra giudaica, nota come rivolta di Bar Kokhba, dopo lo sterminio di 580mila ebrei, cancellò la denominazione originaria della terra degli ebrei da «Giudea» in «Siria Palestina». Anche sotto il Califfato islamico turco-ottomano l'entità geografica della Palestina faceva parte della «Wilayat di Beirut» o «Regione di Beirut».
Nel Preambolo del Mandato per la Palestina conferito alla Gran Bretagna, si precisa che suo scopo è la ricostituzione dello «Stato ebraico», in un contesto geo-politico in cui gli stessi ebrei si concepivano «palestinesi». Nella Risoluzione 181 del 29 novembre del 1947, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite sancì la spartizione del territorio geografico della «Palestina Mandataria» in due Stati: uno «Stato ebraico» e uno «Stato arabo», non uno «Stato palestinese». Ciò attesta che nel 1947 non esisteva il concetto politico di «Palestina». Ventiquattr'ore dopo la proclamazione dello Stato di Israele il 14 maggio del 1948, gli eserciti arabi scatenarono la prima guerra contro Israele, perché pregiudizialmente contrari alla sua esistenza. Pur di impedire la nascita dello Stato di Israele, gli Stati arabi impedirono la nascita del nuovo «Stato arabo».
Dopo la sconfitta degli eserciti arabi, il territorio su cui si sarebbe dovuto costituire il nuovo «Stato arabo» fu spartito tra Israele, che occupò il settore occidentale di Gerusalemme e la Galilea; la Giordania che occupò e si annesse la Cisgiordania e il settore orientale di Gerusalemme; l'Egitto che occupò e amministrò la Striscia di Gaza. Per 19 anni, dal 1948 al 1967, nessuno Stato arabo o islamico, nessuno Stato al Mondo, neppure l'Onu, contestarono o condannarono l'annessione da parte della Giordania della Cisgiordania, il territorio più esteso su cui sarebbe dovuto sorgere il nuovo «Stato arabo» sancito dalla risoluzione 181. La ragione è semplice: la popolazione in Cisgiordania è la stessa della Transgiordania, si concepiscono e vengono definiti «arabi». Se veramente gli Stati arabi avessero avuto a cuore la causa dello «Stato palestinese» e del suo popolo, nessuno avrebbe potuto vietare loro di farlo sui territori della Cisgiordania, Gaza e il settore orientale di Gerusalemme. Invece dal 1948 al 1967, ovvero per 19 anni, la Giordania e l'Egitto non hanno pensato minimamente a cedere i territori da loro occupati, semplicemente perché li concepivano come «territori arabi» con popolazione araba.
È soltanto dopo la cocente sconfitta degli eserciti arabi nella «Guerra dei sei giorni» del 5 giugno 1967, sempre a seguito di un'aggressione con l'obiettivo dichiarato di «annientare l'entità sionista», che si iniziò a parlare di popolo e Stato palestinese. Soltanto dopo la violenta esplosione, a suon di attentati terroristici, dell'Olp, l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina creata dall'Unione Sovietica e fatta propria da un mondo arabo umiliato e che covava la vendetta, dopo la perdita del Sinai, della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, del settore orientale di Gerusalemme, delle Alture del Golan.
Gli accademici italiani denunciano i «massicci e indiscriminati bombardamenti»; la «punizione collettiva contro la popolazione inerme e imprigionata»; «un illegale regime di oppressione militare e Apartheid»; «un chiaro intento di pulizia etnica da parte del governo israeliano». Un cumulo di falsità ispirate dalla propaganda anti-israeliana di Hamas e dalle informazioni fornite dalle istituzioni Onu, che all'interno della Striscia sono gestite da esponenti di Hamas. Allo stesso modo i vertici delle Nazioni Unite sono tradizionalmente ostili a Israele, a partire dal Segretario generale Antonio Guterres, che è arrivato a giustificare l'attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre sostenendo: «È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione».
Per quanto concerne le operazioni militari israeliane, va tenuto conto che nella Striscia di Gaza (superficie di 365 kmq e 2.166.269 abitanti, dei quali 1.240.082 hanno lo status di «rifugiati», per una densità di popolazione tra le più alte al mondo, che arriva a 13.121 abitanti per kmq a Gaza City)» la popolazione è per oltre i due terzi formata da giovani e per quasi la metà da bambini. Qui i terroristi di Hamas usano i civili come scudi umani, obbligandoli, pena l'omicidio, a restare nelle aree dove sono in corso delle operazioni militari, preannunciate da Israele con l'appello ad allontanarsi.
In un'intervista concessa l'8 novembre al New York Times, Khalil al-Hayya, membro del Direttivo politico, e Taher El-Nounou, responsabile per la Comunicazione di Hamas, hanno detto: «Dovevamo dire alla gente che la causa palestinese non era morta. L'obiettivo di Hamas non è governare Gaza e (...) migliorare la situazione, ma provocare uno stato di guerra con Israele permanente su tutti i confini affinché il mondo arabo sia costretto a schierarsi al nostro fianco». Per Hamas, le migliaia di palestinesi che muoiono nella prevedibile reazione militare d'Israele sono un prezzo di sangue voluto e ricercato per aizzare la comunità internazionale contro Israele, per criminalizzare gli ebrei ovunque nel mondo e causare la distruzione dello Stato di Israele, realizzando finalmente, per la prima volta nella Storia, uno «Stato della Palestina» esteso «dal fiume al mare».
Per questo chiunque chieda l'immediato cessate il fuoco e l'immediato avvio di negoziati di pace tra Israele e Hamas, fa il gioco di Hamas e ne sancisce la vittoria. Israele è l'unico Stato al mondo che non può permettersi di perdere una guerra, perché sarebbe la sua ultima guerra. Se accettasse di sedere al tavolo dei negoziati con Hamas, firmerebbe la propria condanna a morte. Israele non ha alternativa che sconfiggere ed eliminare Hamas. I primi a rallegrarsene saranno i palestinesi di Gaza, le vere vittime e i gli ostaggi permanenti della feroce tirannia dei terroristi islamici. Così come tireranno un sospiro di sollievo i Paesi arabi circostanti, la Giordania e l'Egitto in primis. Non si possono mettere sullo stesso piano chi uccide deliberatamente perché nega il diritto alla vita altrui, e chi è costretto a difendersi per salvaguardare la propria vita.
I terroristi islamici di Hamas sostenuti dai terroristi islamici di Hezbollah e dell'Isis, finanziati dal Qatar, armati dall'Iran, protetti dalla Turchia di Erdogan che è il capo politico dei Fratelli Musulmani di cui Hamas fa parte, vogliono esclusivamente distruggere Israele e sterminare il popolo ebraico. Il pogrom di israeliani in terra d'Israele, perpetrato lo scorso 7 ottobre, non ha alcuna giustificazione territoriale o politica, ma è motivato dalla negazione preconcetta del diritto alla vita degli ebrei e di Israele. La reazione militare di uno Stato di diritto, facendo ricorso alle Forze armate, è assolutamente legittima ed è legittimo l'obiettivo di sconfiggere Hamas.
Questo è il fulcro della guerra in corso, se non lo si comprende si finisce per aggirare la realtà e raggirare se stessi e l'opinione pubblica.
Gli accademici italiani, che invitano gli studenti a mobilitarsi contro Israele e chiedono il boicottaggio delle università israeliane, aizzano - consciamente o meno, ma comunque irresponsabilmente - l'odio contro gli ebrei, soffiano sul fuoco dell'antisemitismo, che è riesploso in Europa con omicidi, stelle di David, profanazioni e manifestazioni in cui si scandiscono le stesse parole d'ordine presenti nello Statuto di Hamas: «Palestina libera dal fiume al mare», che implica la distruzione dello Stato di Israele e lo sterminio del popolo ebraico.
Quanto al boicottaggio delle università israeliane, sarebbe solo un danno per le università italiane che, purtroppo, sono sempre più screditate e sfornano sempre più giovani ignoranti e faziosi, come lo sono i docenti che hanno concepito e sottoscritto l'Appello.
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