Così il Cremlino riscrive la realtà (e la sinistra ci casca)

La Russia sta vincendo la guerra in Ucraina; anzi, la Russia ha già vinto la guerra in Ucraina

Così il Cremlino riscrive la realtà (e la sinistra ci casca)

La Russia sta vincendo la guerra in Ucraina; anzi, la Russia ha già vinto la guerra in Ucraina. Su questo tipo di affermazioni c'è chi in Italia ha costruito una solida carriera da opinionista tv. Due studiosi dell'Institute for the Study of War, Nataliya Bugayova e Frederick W. Kagan, ne hanno fatto invece l'esempio tipico della trappola in cui l'Occidente rischia di cadere: accettare la narrazione elaborata dagli esperti russi di «tecnologia politica» e, pur nel (...)

(...) tentativo di contrastarla, restarne prigionieri. La tesi, dicono i due esperti dell'Isw, appare del tutto contro-intuitiva: non c'è motivo di pensare che un Paese che può schierare in campo un prodotto interno lordo non lontano da quello di Spagna e Portogallo messi insieme (intorno ai 2mila miliardi) debba vincere contro un'alleanza, la Nato, che può appoggiarsi su una ricchezza complessiva di 63 migliaia di miliardi. Eppure nel dibattito dei Paesi occidentali l'affermazione apodittica sulla vittoria russa fa parte del discorso pubblico comunemente accettato.

È questione di narrazione, appunto, e della capacità di diffonderla. I russi, da questo punto di vista, sono bravi, anche perché hanno una tradizione ingiustamente dimenticata. Ai tempi dell'Unione Sovietica erano già specializzati in quello che chiamavano «aktivnye meropriyatiya», «misure attive», definizione che comprendeva tutte le forme di contrasto dell'avversario considerate non ortodosse: dalla propaganda alla disinformazione, fino al terrorismo e all'omicidio politico. Uno dei pilastri del repertorio («il cuore e l'anima dei servizi di intelligence sovietici», secondo le parole di un generale russo di allora) era la manipolazione mediatica e le catene di trasmissione erano rappresentate ovviamente da partiti comunisti e socialisti, organizzazioni pacifiste, movimenti di liberazione dei Paesi del Terzo mondo.

Fino a un certo punto il messaggio da divulgare è stato chiaro ed univoco: il potere salvifico del comunismo realizzato. Quando si è verificato che a questo potere non credeva più nessuno (men che meno in Russia) il contenuto si è fatto più diversificato. E l'approccio niente affatto monolitico è rimasto dopo la grande crisi dell'Unione Sovietica, quando il nuovo potere nazionalista ha iniziato ad affilare i coltelli per il grande confronto con le democrazie occidentali. La creazione del primo canale in inglese di Russia Today (strumento televisivo globale del Cremlino, oggi Rt) è del 2005. Nel 2007 è nato il canale in arabo, nel 2009 quello in spagnolo, ben cinque anni prima di quelli in francese e tedesco. Sputnik, altro canale fondamentale informativo russo, opera in 30 lingue diverse tra cui il turco e il vietnamita.

Le già citate narrazioni sono state adattate Paese per Paese in relazione alle diverse situazioni e tensioni anche dall'Internet Research Agency, la cosiddetta fabbrica dei troll aperta a san Pietroburgo dal poco rimpianto Evgenij Prigozhin (e oggi sostituita nell'attività da reparti specializzati del Gru, il servizio segreto militare, e dall'Fsb, l'ex Kgb). In Germania, per esempio, le note da suonare sono state spesso legate al passato nazista e al relativo senso di colpa della popolazione, una quinta colonna importante che viene sovente utilizzata sono i milioni di tedeschi di madre lingua russa che vivono nel Paese (i cosiddetti Russlandeutsche, in base allo ius sanguinis tedeschi di cittadinanza, ma a tutti gli effetti di cultura russa).

Quanto all'Italia, la propaganda gioca spesso partendo da una base comune: l'anti-americanismo. Il libro, uscito qualche tempo fa, di un ex senatore di Pd e Scelta civica, oggi in Italia Viva, Alessandro Maran («Nello specchio dell'Ucraina»), rende bene la qualità del fenomeno. «In Italia, si sa, ci sono almeno tre correnti anti-americane: di destra, di sinistra e cattolica; detto altrimenti c'è l'anti-americanismo come nazionalismo, come anticapitalismo e come protesta contro la modernità», dice Maran. In tutte e tre le correnti (ma soprattutto a sinistra) c'è un elemento fondante comune: «l'estraneità o la diffidenza verso la democrazia liberale nel cui segno si è potuta sviluppare, rigogliosa e prorompente, la civiltà americana di massa».

Nel nome di questa ideologia «non-liberale» la guerra nell'est europeo viene vista come un complotto (come ovvio) della Nato e in generale dell'Occidente, colpevole di aver «provocato» i russi sul terreno di casa. Fino ad arrivare al video che circola molto su Youtube in questi giorni in cui si dà conto di una chiacchierata tra Alessandro Barbero e Alessandro Dibattista, in cui lo storico (geniale divulgatore, ma sciagurato commentatore dell'attualità) e l'ex Cinque Stelle concludono allegramente che nel conflitto la distinzione tra buoni e cattivi è frutto di una manipolazione informativa, che una vera differenza tra le due parti in causa non c'è, e che dalla guerra bisogna a tutti i costi stare ben lontani.

Sempre nel nome di questo «indifferentismo» in cui non si distingue tra una autocrazia di tipo orientale e una democrazia (sia pure imperfetta, ma con il genuino desiderio di un aggancio ai valori occidentali) si finisce per trangugiare ogni racconto e ogni spiegazione fornita dai russi. Così sui giornali che si fanno portavoce di queste tesi capita ancora di leggere riferimenti alla destra ucraina e al pericolo neonazista o alla necessità da parte di Mosca di difendere la popolazione di lingua russa (vale ancora la pena di ricordare che il presidente ucraino Zelensky, ebreo, non parlava ucraino e che lo ha imparato durante la campagna elettorale, facendone un'occasione per aumentare la sua popolarità?).

All'inizio del conflitto erano questi (neonazisti e persecuzione dei russi) gli elementi centrali della propaganda putiniana.

Dopo che hanno perso valore (si fa fatica a pensare che tutti gli ucraini siano nazisti e che gli abitanti di Karkhiv, in pratica tutti russo-parlanti, vogliano autopunirsi) è salito alla ribalta nel racconto che viene da Mosca l'elemento di confronto geopolitico tra Sud del mondo (di cui la Russia si sarebbe fatta alfiere) e l'Occidente eterno colonialista. È sicuramente un caso, ma è lo stesso ragionamento che sempre più spesso fa capolino nei discorsi di tanti pacifisti di casa nostra.

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