Martedì prossimo la procura di Genova, che sta coordinando le indagini dei carabinieri del Nas per fare luce sulla morte di Camilla Canepa, la 18enne deceduta all’ospedale San Martino dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca, incaricherà il medico legale di Pavia Luca Tajana di eseguire l'autopsia sul corpo della giovane. Secondo le ultime rivelazioni, la ragazza avrebbe sofferto di piastrinopenia autoimmune familiare, ossia una carenza cronica di piastrine. Il legale della famiglia, l’avvocato Angelo Paone, avrebbe però parlato a nome dei genitori asserendo che “Camilla non aveva nessuna malattia”.
Il calvario di Camilla
Il primario di neurochirurgia che ha operato Camilla al San Martino di Genova è Gianluigi Zona, direttore della clinica neurochirurgica e neurotraumatologica del Policlinico, che parlando a La Stampa, ha ammesso: “Non avevo mai visto un cervello ridotto in quelle condizioni da una trombosi così estesa e così grave”. Camilla era stata trasferita dall’ospedale di Lavagna, ed era arrivata al Policlinico domenica scorsa alle 5 e sei minuti. Nella struttura ospedaliera di Lavagna le avevano fatto due tac. La prima non aveva evidenziato nulla e la giovane era stata rimandata a casa. Il secondo esame aveva diagnosticato invece una trombosi in atto, e la sua situazione clinica era a quel punto già compromessa. Con la prima tac si sarebbe dovuto vedere qualcosa? “Ragionando a posteriori è tutto facile e tutti sono campioni del mondo, l'ultimo medico che arriva a visitare un paziente è sempre il più intelligente. Una Tac non evidenza direttamente una trombosi anche se esistono dei segni molto indiretti. Sono segni precoci e serve un occhio molto esperto per coglierli, ma si possono cogliere prima delle presenze ematiche” ha spiegato Zona.
Il primario che l'ha operata: "Qualcosa di non normale"
Con la seconda tac, e la comparsa del sangue, era ormai evidente la trombosi e “a quel punto si parla di infarcimento emorragico: il sangue non defluisce e travasa all'interno del cervello. Non posso giudicare cosa si sarebbe potuto cogliere già nella prima Tac: non è mai arrivata al San Martino. Normalmente, se non ci sono indizi che portino a ipotizzare qualcosa di grave in atto, nessun medico al pronto soccorso prescrive una Tac con contrasto o altri esami”. Quando Camilla arriva al San Martino, di turno c’è il neurochirurgo Alessandro D’Andrea che chiama il primario in sala operatoria: “Abbiamo optato per una craniotomia decompressiva, si è aperto il cranio per allentare la pressione interna”. Infatti il sangue non riusciva a scorrere e stava impregnando il cervello. Zona ha ammesso di non aver mai visto una situazione simile: “Tutti i seni venosi erano ostruiti da trombi, uno scenario che non avevo mai visto in tanti anni di questa professione. Dovete immaginare il seno venoso come il fiume al centro di una vallata nella quale convergono svariati ruscelli.
Se al centro del corso d'acqua si costruisce una diga, il fiume si gonfia e a quel punto gli affluenti non riescono a scaricare, col risultato che la pressione a monte sale”. Il chirurgo ha infine sottolineato di non essere né un virologo, né un epidemiologo o un medico legale ma che, da quello che ha visto, “siamo di fronte a qualcosa di non normale”.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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