"La crescita dei casi sta rallentando nelle Regioni dove l’epidemia è cominciata". È quanto emerge dai dati sui pazienti contagiati resi noti dalla protezione civile. Infatti, dopo un aumento elevato dei malati da coronavirus regsistratosi in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, i numeri comunicati nella conferenza stampa fanno ben sperare.
In effetti, spiega al Corriere della Sera Maria Rosaria Capobianchi, direttore della Virologia dell'ospedale Spallanzani di Roma, "l'aumento generale dei casi è inferiore a quello del giorno precedente". Il bollettino dell'11 marzo parlava di 10.590 casi positivi, che il 12 erano saliti a 12.839, con un aumento di 2.249 casi, mentre ieri, la protezione civile ha comunicato la presenza di 14.955 casi: si tratta di 2.116 persone in più, 133 persone in meno rispetto al giorno precedente. Numeri che potrebbero "essere un indizio favorevole - spiega la virologa - ma tanti fattori vanno considerati". Inoltre, il numero dei pazienti positivi al Covid-19 indicato nei bollettini "rispecchia una situazione variegata. C’è una differenza tra le zone dove i focolai sono cominciati e quelle che invece si trovano adesso all’inizio dell’epidemia".
Infatti, se in alcune Regioni del Nord sembra esserci un calo di pazienti da Covid-19, "altrove c'è un aumento sostenuto": "In molte regioni la curva dell’epidemia, cominciata più tardi, è in salita", spiega la virologa che, insieme a una squadra di sole donne, aveva isolato il primo coronavirus diagnosticato in Italia. E avverte: "Potremmo raggiungere anche in altre zone gli stessi numeri di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in proporzione agli abitanti. La speranza di tutti è che le misure di contrasto messe in campo quando ancora c’era tempo per agire siano efficaci". Ma per capire se la diminuzione dei casi al Nord sia un segnale incoraggiante ci vorrà del tempo: "I dati- spiega Capobianchi- hanno bisogno di consolidarsi nel tempo. Nella comunicazione potrebbero esserci dei ritardi che in qualche modo causano un disallineamento dei dati".
La virologa dello Spallanzani spiega anche le caratteristiche del Sars-CoV-2 che, "presenta un’evoluzione genetica dettata da una variabilità peraltro molto contenuta". Infatti, "il confronto tra le sequenze dei genomi pubblicate sui database internazionali, a partire dal 10 gennaio, quando i ricercatori cinesi di Wuhan hanno reso pubblica la prima sequenza, non mostra cambiamenti sostanziali tali da rendere il virus diverso e quindi non più riconoscibile dal sistema diagnostico". Nel tempo, quindi, il virus non sembra essere mutato sensibilmente. Un'altra caratteristica del nuovo coronavirus è la somiglianza che ha con la Sars, la sindrome respiratoria acuta grave che nei primi anni 2000 causò un'epidemia: "In comune i due agenti patogeni hanno l’80% del genoma, dunque sono abbastanza simili", sottolinea Capobianchi, specificando però come il comportamento della Sars sia stato "ben diverso".
Infatti, la malattia "ha avuto una mortalità maggiore, pari a circa il 10%, ma si trasmetteva meno subdolamente e non dava luogo a infezioni con sintomi lievi". Per questo era più facile e individuare e bloccare la catena di trasmissione, operazione invece difficile per il Covid-19. Vanno in questa direzione le dure misure prese dal governo.
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