Il Covid attacca il fegato: ecco cosa accade

Il virus può attaccare anche in fegato: è questa la scoperta dei ricercatori del Papa Giovanni XXIII di Bergamo assieme a colleghi americani. "C'è un legame tra danno epatico, coagulopatia ed endoteliopatia"

Il Covid attacca il fegato: ecco cosa accade

Il Covid-19 attacca anche il fegato: per la prima volta al mondo, l'Università di Yale e l'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo hanno dimostrato come il virus possa interessare anche la ghiandola più grande del corpo umano.

Cosa dice lo studio

I risultati di questa dimostrazione scientifica sono stati pubblicati sulla rivista Journal of Hepatology, una delle più prestigiose riviste al mondo di gastroepatologia. La collaborazione tra i ricercatori dell'ateneo americano e l'ospedale bergamasco ha permesso, per la prima volta, di analizzare e soprattutto riprodurre il meccanismo patologico con cui il coronavirus causa un danno del fegato nei malati di Covid-19. Questo studio conferma il ruolo-chiave della citochina IL-6 e della endoteliopatia, cioè l'infiammazione delle pareti dell'endotelio che riveste i vasi sanguigni, responsabile del danno epatico associato a forme gravi e mortali di Covid-19. Il virus Sars-Cov-2 induce, cioè, le cellule dell'endotelio dei vasi sanguigni che irrorano il fegato a produrre una proteina chiamata interleuchina IL-6 che in situazioni normali agisce con funzione di regolazione dei processi immunitari. Quando la sua produzione è sregolata ed eccessiva può portare a stati infiammatori anomali. Nel caso del Covid-19, questa tempesta porta allo stato infiammatorio (endoteliopatia) e alla coagulazione del sangue all'interno dei vasi.

I risultati dalle autopsie

Come riportato dalla struttura ospedaliera bergamasca, per arrivare a questi risultati sono stati valutati i campioni istologici (cioé i test di laboratorio al microscopio su tessuti organici) di fegato relativi a 43 pazienti deceduti all'ospedale di Bergamo nella primavera del 2020: le autopsie sono state effettuate nella città lombarda durante la prima ondata pandemica dal Direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio, Andrea Gianatti, e dal collega anatomopatologo, Aurelio Sonzogni. Si tratta, al momento, del primo studio mai pubblicato su modello animale che coinvolge il più grande campione numerico di tessuti umani provenienti da pazienti deceduti per infezione da Covid-19.

"I marcatori dell'attivazione delle cellule endoteliali e delle piastrine - ha spiegato Aurelio Sonzogni dell'Anatomia patologica dell'Asst Papa Giovanni XXIII - hanno indicato un legame tra danno epatico, coagulopatia ed endoteliopatia. La citochina IL-6, attraverso un processo detto di trans-segnalazione, provoca l'aumento di anticoagulanti (fattore VIII, vWF) e infiammatori. Si genera anche un aumento delle piastrine nelle cellule dell'endotelio". I risultati sono stati inviati ai colleghi americani di Yale che hanno confermato "quanto abbiamo ipotizzato", aggiunge Sonzogni.

Cosa si sapeva l'anno scorso: i danni "indiretti" sul fegato

In precedenza, uno dei più grandi studi clinici ad aver valutato il rapporto tra danno al fegato e Sars-Coc-2 aveva rilevato che su 2.273 pazienti il 45% aveva un danno epatico lieve, il 21% moderato e il 6,4% grave. I pazienti con danno epatico acuto erano a maggior rischio di ricovero in terapia intensiva (69%), intubazione (65%), terapia renale sostitutiva (33%) e mortalità (42%). Il ruolo dell'infiammazione delle cellule endoteliali era già stato ipotizzato ma, nel caso del fegato, non era mai stato dimostrato su tessuto. Anche noi del giornale, a maggio 2020, avevamo intervistato in esclusiva il Prof. Massimo Colombo, Direttore del Centro Humanitas di Rozzano per la Ricerca Traslazionale in Epatologia e presidente della Fondazione Internazionale del Fegato con sede a Ginevra, il quale ci aveva detto (clicca qui per l'intervista completa) che una percentuale compresa fra il 14 ed il 53% di tutti i pazienti con Covid-19 presentano "alterazioni epatiche segnalate da incrementi nel siero di transaminasi, gamma Gt e spesso di bilirubina". Alla domanda su come si potesse individuare la presenza del Covid sul fegato, il Prof. Colombo aveva risposto che non erano state identificate particelle virali nel fegato di infetti Covid-19, a dimostrazione di come il virus agisse anche in modo "indiretto" e come la ricerca, in un solo anno di pandemia, abbia fatto ulteriori passi da gigante.

Cosa è cambiato adesso

Infatti, precedenti studi sul Covid-19 si erano focalizzati soprattutto sulla coagulopatia, cioè sull'aumento delle complicanze trombotiche e microvascolari generate dalla risposta infiammatoria del sistema immunitario e derivante dalla tempesta di citochine indotta dal virus Sars-CoV-2. Nessuno studio aveva analizzato direttamente il danno sui campioni di fegato correlandolo ai dati clinici. Adesso, la ricerca degli scienziati italiani e statunitensi torna a pone l'accento sul ruolo dell'endoteliopatia come causa principale di danno epatico rispetto alla coagulopatia, proprio perché sarebbe la causa di quest'ultima. Così, secondo gli autori dello studio, l'identificazione precoce dell'endoteliopatia e le strategie terapeutiche per ridurre la sua accelerazione infiammatoria, potrebbero migliorare il trattamento di malattia da Covid-19 grave.

"Dal Papa Giovanni arriva ancora una volta un contributo allo sforzo collettivo della comunità scientifica internazionale per conoscere e quindi combattere in maniera efficace questa malattia - ha commentato Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell'Asst Papa Giovanni XXIII - Ringrazio i nostri professionisti per il rigore scientifico e la serietà con cui stanno affrontando la sfida rappresentata da questo nuovo virus".

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