"Il Covid circolava già prima del paziente 1": lo studio

Quando fu accertato il primo caso di coronavirus al di fuori della Cina, il 20 febbraio del 2020 a Codogno, in provincia di Lodi, in realtà il virus già era presente da tempo in Lombardia

In Lombardia il Covid circolava prima del paziente 1 di Codogno
In Lombardia il Covid circolava prima del paziente 1 di Codogno

Il “panziente 1“ di Codogno, da cui sarebbe partita la pandemia italiana, era già il 528esimo caso lombardo. Gli altri positivi, infatti, non erano stati riconosciuti nè isolati malgrado sintomi inequivocabili. Come dire che quando fu accertato il primo caso di coronavirus al di fuori della Cina, cioè il 20 febbraio del 2020 proprio a Codogno in provincia di Lodi, il virus non solo era era già presente in Lombardia ma da mesi circolava. A confermare l’ipotesi è uno studio predisposto da Danilo Cereda, dell'Unità Organizzativa Prevenzione - Malattie infettive della DG Welfare di Regione Lombardia, e da infettivologi e virologi delle ATS, degli IRCSS, delle ASST lombarde.

La relazione scientifica pubblicata a livello mondiale

La relazione sarà pubblicata a dicembre sulle pagine di “Epidemics - The Journal on Infectious Disease Dynamics“. Secondo quanto emerso incrociando dati e cartelle cliniche al 20 febbraio del 2020 c’erano 527 persone di un’età compresa fra i 57 e i 78 anni, di cui 39 erano sanitari che avevano manifestato sintomi riconducibili al Covid. In questo senso non è sbagliato sostenere, così come fatto dalla ricerca, che il virus "circolava già per lo meno in 222 dei 1506 Comuni lombardi" pari al 14,7% dei paesi. Secondo le stime dei ricercatori, il tempo di trasmissione del Covid in quel momento era di 6,6 giorni mentre il numero di riproduzione (il cosiddetto R0) passava da un 2,6 a Pavia a un 3.3 a Milano. Da qui la ragione per cui il sistema sanitario lombardo dopo poche settimane dal “paziente 1“ si è trovato sotto pressione.

Reparti in ginocchio per velocità virus

A mettere in ginocchio i reparti, per gli studiosi sarebbe stata “l'alta trasmissibilità dell'infezione e la diffusa e silente trasmissione del patogeno avvenuta fra gennaio e metà febbraio" portato anche da contagiati asintomatici. Una volta scoperto il primo caso si è però evidenziato un trend in diminuzione nel numero di riproduzione, segno della maggiore attenzione delle persone e conseguenza delle prime misure intervenute fino al lockdown dell'8 marzo.

La ricerca

Il metodo di ricerca seguito per stilare la relazione scientifica è stato quello di analizzare i registri ufficiali dei casi avvenuti in Lombardia durante la prima fase dell'epidemia: si è creato un elenco di casi confermati in laboratorio e successivamente consolidato in modo retrospettivo per casi accertati e loro stretti contatti. In questo modo sono stati accertati i 527 casi che mostravano sintomi prima del 20 febbraio. Dei 527 casi primari l'89,2% è stato ricoverato in ospedale e il 27,5% è deceduto per le complicazioni portate dalla malattia. I casi riguardavano tutte le 12 province della regione con una percentuale maggiore di Lodi e Bergamo (53%). “Il tasso di contagio (Rt) ha mostrato un rapido innalzamento fino alla fine di febbraio seguito quindi da una diminuzione costante - si legge nella pubblicazione - iniziata nei giorni immediatamente successivi alla scoperta del primo caso, più marcato a Lodi, Bergamo e Cremona“.

A contribuire al rallentamento della diffusione del virus per lo studio è stata "la definizione di aree di quarantena a Lodi, l'aumento dello smart working e restrizioni allo sport al chiuso e ai servizi di ristorazione a Bergamo e Cremona".

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