Erano il simbolo della grandezza di Roma, dei suoi traffici mercantili e del suo prestigio internazionale. Al loro interno veniva custodito il marmo e le altre merci importate in età repubblicana e imperiale. Non a caso, la via su cui affacciano si chiama proprio via Marmorata. Stiamo parlando dei magazzini romani del porto fluviale, nel quartiere di Testaccio.
Oggi di quegli antichi fasti e della vecchia opulenza commerciale rimane solo un letto di foglie secche che si accumulano a terra, assieme ad immondizia e uno spesso strato di polvere (guarda il video). Per chi passa di qui non c’è davvero più nulla che ricordi il passato. Quei ruderi, oramai, vengono disertati dai turisti e bazzicati principalmente da clochard e sbandati che li hanno ridotti ad un orinatoio a cielo aperto.
È il triste destino che accomuna i cosiddetti siti minori della Capitale. Nel cuore della città ce ne sono a decine. Hanno secoli di storia, eppure nessuno sembra accorgersi della loro esistenza. Questo perché, ragiona Marco Veloccia, consigliere del I Municipio e appassionato di storia romana, “siamo in una città piena di beni archeologici e vestigia come i magazzini del porto fluviale vengono oscurate da monumenti più famosi”. Insomma, “quello che altrove diventerebbe meta di pellegrinaggio, qui da noi viene snobbato”, osserva il consigliere. E i risultati di questa politica sono sotto gli occhi di tutti. Forse anche per questo, nella Capitale, la permanenza media dei turisti non supera il giorno e mezzo. Visitato il Colosseo, il Foro Romano, il Pantheon e la Basilica di San Pietro, se ne vanno. Quando la città offrirebbe ben più gioielli e attrazioni che, con una remise en forme, potrebbero entusiasmare i viaggiatori. Tra gli esempi c’è anche Porta Maggiore dove, un tempo, convergevano ben otto acquedotti romani. Oggi anche l’arco che svetta nel rione Esquilino è circondato dalla desolazione. Alle sue pendici si accumulano rifiuti di ogni genere ed i rom allestiscono, indisturbati, il classico mercatino con i proventi del rovistaggio.
Secondo l’archeologo Renato Sebastiani, della Soprintendenza speciale Archeologica Belle Arti e Paesaggio di Roma, “il problema è più complesso di come viene raccontato: viviamo in una città dove da più di duemila anni c’è una continua stratificazione ed è abbastanza facile sparare a zero sull’amministrazione”. Certo, ammette, “queste sono strutture che, al di là della competenza comunale e statale, risentono sicuramente di una carenza endemica di risorse e di organico”. E ancora una volta, là dove non arriva la mano delle istituzioni, spetta al cittadino armarsi di buona volontà e ramazza.
“Ma questo – aggiunge – non è l’unico problema”. “È anche una questione di mentalità”, rilancia l’archeologo, “colpa del degrado culturale che ci porta a non considerare il nostro patrimonio storico come parte integrante della nostra identità nazionale e di singoli”.
“Bisogna definire delle strategie culturali per far sì che la città conosca e viva i pezzi della sua storia, non solo come dei problemi”, chiosa.Nel frattempo, però, le vestigia del passato restano sepolte sotto gli sguardi indifferenti di romani e turisti.
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