Tutti i casi sono «unici» e nessuno lo è. Tornano in mente Erika e Omar, il cui caso «accade una volta ogni secolo» come disse nel 2001 l'allora presidente del tribunale dei minori; torna in mente, anche per quel caso, l'assenza di qualunque spiegazione o movente plausibile, anche se poi, al tempo, si esercitarono criminologi e psichiatri e tuttologi ed esperti (in niente) che evocarono il disagio giovanile, la vita di provincia, le comunità chiuse, l'eccesso di agiatezza, «la sicurezza degli effetti» (Giuseppe De Rita) che è tutta roba buona da Novi Ligure a Paderno Dugnano, meglio se con una spruzzata attualizzante: la virtualità del vivere, la folla solitaria dei cellulari. Ma torna in mente anche quanto ha scritto più modestamente Marco Imarisio (Corriere) in un suo libro: «Spesso c'è poco da spiegare, c'è solo da raccontare. Ogni storia è fatta di singoli gesti, quasi mai di sintomi che si riflettono sull'intera società non diviene mai metafora di un significato più grande». Ecco perché quasi rincuora (oltreché turbare, si capisce) sentire la procuratrice dei minori che onestamente diceva, ieri, che per la strage di Paderno «non abbiamo un movente tecnicamente valido» che spieghi come un 17enne abbia trucidato i genitori e il fratellino all'interno di una già definita «famiglia molto felice». Parole che, a parte un ordinario riferimento a un malessere giovanile nella socialità, non hanno ceduto a svolazzi sociologici legati ai trend del momento, forse nella consapevolezza che tanto, a quelli, penseranno giornalisti e opinionisti.
Eccoci dunque è il nostro turno a dire perlomeno qualcosa che forse non dice quasi mai nessuno: che in famiglia si uccide più di quanto facesse la mafia, che un omicidio su due, in Italia, è commesso in famiglia, e che il tasso di omicidi in famiglia rimane costante mentre gli altri generi invece calano: è l'innominabile «familicidio», che è l'unica vera emergenza che rimane stabile in una società che è sempre meno violenta (dati alla mano) anche se i media tendono a raccontare il contrario.
In Italia gli omicidi nel loro complesso sono calati sino al 1969, poi hanno ripreso a crescere sino al 2001 (complici il terrorismo e le guerre di mafia) ma negli ultimi 16 anni gli assassinii si sono più che dimezzati, e abbiamo il tasso più basso della storia d'Italia. A rimanere costante, però, è appunto il tasso degli omicidi in famiglia: se ne parla poco, e si preferisce, a seconda dell'epoca, prendere una parte per il tutto (da anni si battaglia solo attorno al fenomeno del femminicidio, che però è solo un aspetto pur importante del problema) e però si tralasciano numeri e dati che possono impressionare: e che sono lì, citati da molti anni dall'Istat, dall'Eures, menzionati da studi inequivocabili come quelli di Marzio Barbagli.
Non è un tema che merita grandi divisioni ideologiche tra difensori e detrattori della famiglia: si parla semplicemente del luogo in cui gli italiani passano la maggior parte del tempo, e dove coltivano aspettative,
vorticosità affettive e passioni profonde, ma, in qualche caso, anche violenza come perversa conseguenza. Raccontare il tutto e non solo una parte, citando dati e numeri prima di analisi epocali, forse è la prima cosa da fare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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