«Il campo largo è morto», e anche io non mi sento troppo bene.
Se Giuseppe Conte, che aveva dato per archiviata l'alleanza a inizio ottobre, avesse un barlume del sense of humour di Woody Allen, potrebbe commentare così il triste risultato (tra il 4 e il 5%) della sua lista, ieri in Liguria.
Doveva essere «un gol a porta vuota» per il centrosinistra. Testimoniato dai sondaggi, che davano Andrea Orlando avanti di parecchi punti dopo il tornado giudiziario che ha abbattuto la giunta Toti. Si è imprevedibilmente trasformato in una gara al cardiopalmo per l'ultimo voto, un testa a testa da crisi di nervi, un recupero inaspettato degli avversari rispetto alle rilevazioni che facevano sognare al centrosinistra un «cappotto» 3 a zero alle regionali (mancano ancora Emilia Romagna e Umbria) di fine 2024. Fino a tarda sera, appesi al pendolo contrastante di sondaggi e spogli, tutti gli esponenti del centrosinistra rimangono blindati nel silenzio.
Ma la questione gli è del tutto chiara. «Noi del Pd siamo forti e in crescita. Abbiamo un problema di coalizione», si confida con i suoi Elly Schlein. Il suo partito raggiunge di slancio il 28%, doppiando Fdi e superando i risultati regionali delle scorse elezioni europee. Ma attorno a lei tutti arrancano e annaspano.
E quel problema si chiama innanzitutto Movimento Cinque Stelle: Conte potrà anche ribattezzare il suo partito Pinco Pallino, una volta vinta la gara di pernacchie tra lui e Beppe Grillo (che ha fatto sapere di non essere neppure andato a votare, nella sua Genova), ma il risultato non cambia. Quella che avrebbe dovuto essere la seconda gamba dell'alleanza alternativa al governo di centrodestra si sta trasformando, voto dopo voto, in un cespuglietto praticamente ininfluente. Sorpassato sia dalla sinistra rossoverde di Avs (6%) che persino dalla lista civica orlandiana (5,9%). Il centro (rappresentato nell'alleanza dalla sola Azione di Carlo Calenda) non va meglio, anzi non raggiunge il 2%: «A Nord non riesce a contare», dice un big del Partito democratico di area riformista. Che osserva, guardando alle future Politiche: «Il Pd va bene, ma da solo non può bastare. Il problema dei prossimi mesi sarà capire se la crisi dei Cinque Stelle di Conte è irreversibile come sembra, o se c'è ancora una possibilità di recupero».
L'esclusione di Matteo Renzi dalla coalizione, dopo il tonante veto (subito accolto dal Nazareno) del suddetto Conte, ha avuto un prezzo salato. E Renzi lo fa subito sottolineare: «Se penso che il centrosinistra, per colpa di Conte, ha rifiutato Italia viva... Finirà per qualche centinaio di voti, e dire che solo Renzi ha preso in Liguria 6.500 preferenze, e Raffaella Paita 4.200. Che follia», detta alle agenzie il fido Francesco Bonifazi, mentre Marco Bucci è in testa di poche manciate di voti. «Elly Schlein deve smettere di subire i veti, inseguendo Conte si distrugge il centrosinistra», dice Renzi ai suoi. E ricorda le tappe dei prossimi mesi: «In Toscana, Campania e Puglia il Pd pensa di poter vincere senza di noi?». Un interrogativo malizioso che al Nazareno si stanno già ponendo, ovviamente. La sconfitta ligure scalfisce la narrazione vincente di Schlein, e apre le prime crepe post-Europee nel Pd, dove si attende la fine del ciclo di regionali per contestare la linea di acquiescienza verso Conte.
Il pomeriggio, a sinistra, è un vorticoso viaggio sull'ottovolante: «Aspettiamo fino all'ultimo voto», dice Andrea Orlando a ora di cena. Si inizia col trauma dei primi exit poll, che piombano come una secchiata gelida sul Nazareno e su tutto il centrosinistra: il «gol a porta vuota» intravisto dopo il crollo giudiziario della Liguria di Giovanni Toti, con i sondaggi che davano il «campo largo» a quasi dieci punti di vantaggio sugli avversari, non si materializza. Anzi, il candidato di centrodestra Marco Bucci è in testa di un paio di punti, e la sua coalizione pure. Poi, dopo il tramonto, Elly Schlein arriva al Nazareno e la speranza si riaffaccia: i dati reali, soprattutto da Genova, fanno risalire Andrea Orlando che si posiziona in testa. Ma non dura oltre l'ora di cena.
Nel Pd ci si consola con quel che c'è. «Colpisce che a Genova Orlando sia in testa», dice Roberto Morassut. Che però ammette: «Serve un consolidamento della parte moderata della coalizione». Renzi, dietro le quinte, brinda.
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