Nella vicenda di Ramy Elgaml, il diciannovenne egiziano morto a Milano in un incidente stradale durante un inseguimento da parte di una pattuglia dei carabinieri, si sente già quello sgradevole lezzo di opposte ideologie che purtroppo in questo Paese accompagna da sempre ogni caso di cronaca di cui siano protagoniste le forze dell'ordine. Abituati come siamo alla propaganda pregiudiziale contro gli agenti - sempre violenti, cattivi e fascisti -, proviamo a non cadere nell'ottusità contraria: ovvero difendere chi veste la divisa sempre e comunque, a prescindere dai fatti.
I fatti dicono che violare la legge è una scelta, a cui spesso seguono conseguenze spiacevoli. E che forzare un posto di blocco guidando all'impazzata in piena notte sotto l'effetto di stupefacenti è una scelta pericolosa. Al contrario, inseguire chi forza il blocco è un dovere da parte di chi è responsabile della tutela dell'ordine. Altrimenti è l'anarchia. Che è sempre molto affascinante, ma solo finché a scappare indisturbati non sono i ladri della nostra macchina o gli aggressori dei nostri figli. Allora poi si grida allo Stato assente e lassista.
I fatti dicono anche che realisticamente in quelle situazioni-limite qualcosa può andare storto, come in una sparatoria fuori da una banca rapinata o in una guerriglia durante un G8. Un urto, una curva forzata, un incidente; un estintore alzato, un proiettile; morti che nessuno avrebbe mai voluto ma che incendiano l'aria. Ora, in questi casi ogni Stato fa storia a sé: in America verrebbero bollati come «rischi del mestiere» dei criminali, con medaglia agli agenti; in Italia molto spesso non si tutela chi ci tutela, e gli agenti finiscono vittime, se non di chi li assalta o li sfida, della giustizia che si accanisce.
Finché stiamo su questo piano, che è ben diverso dall'abuso di potere (vedi certi scandali delle carceri, o la scuola Diaz), Il Giornale è stato e sempre starà dalla parte di chi rischia la vita per garantire la sicurezza. Anche con posti di blocco e inseguimenti quando servono, ovviamente.
Diverso il discorso se dovesse essere confermata l'ultima accusa agli agenti, quella di aver dichiarato il falso sul presunto urto con lo scooter e di aver fatto cancellare dal telefonino di un testimone un video dell'inseguimento. Ecco, questo è il muro oltre il quale la nostra difesa non potrebbe andare. Perché un incidente non intacca la fiducia, la bugia sì. Chi rappresenta lo Stato e ha il sacrosanto diritto al monopolio della forza, ha pure il sacrosanto dovere della verità, anche in un Paese non sempre riconoscente. Lo deve alla divisa che porta, al giuramento che ha fatto e alla collettività.
E lo deve anche a quella parte di opinione pubblica che - magari in silenzio mentre gli altri urlano cori contro gli sbirri - ha sempre preso le parti di polizia e carabinieri. E che anche oggi è sicura che - se qualcuno ha sbagliato - pagherà. Perfino se indossa una divisa.
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