Elisabetta II si dà alla musica

La musica è di casa a Buckingham Palace. Che sia a tutto volume, o meno, dipende dalle situazioni.

Elisabetta II si dà alla musica

La musica è di casa a Buckingham Palace. Che sia a tutto volume, o meno, dipende dalle situazioni. Lo scorso 5 aprile, in un toccante discorso al Regno in piena pandemia, la Regina Elisabetta concluse con un non casuale We'll meet again, ci incontreremo di nuovo. Un augurio, una speranza, ma anche un rimando all'omonimo brano di Dame Vera Lynn, salito alla ribalta durante la Seconda Guerra Mondiale come simbolo di un futuro nuovo per molti soldati al fronte. Citazione o rimando, fatto sta che la canzone in quella settimana risalì centinaia di posizioni Oltremanica, insediandosi tra le prime venti. C'è di più, alla luce degli ultimi sviluppi converrà che la sovrana tenga d'occhio gli ascolti e tutte le graduatorie visto che il fondo CCLA Investment Management ha appena acquisito i diritti d'autore di alcuni dei più grandi successi discografici degli ultimi anni. Il fondo appartiene alla Chiesa Anglicana, quindi è in mano alla Regina Elisabetta e all'arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, possessori così di ben 24mila brani di assoluto livello. A corte andranno di moda soprattutto pop e rock dal momento che nella lista delle compere ci sono anche Umbrella di Rihanna, Single Ladies di Beyoncé, All I Want for Christmas Is You di Mariah Carey e Livin' on a Prayer di Bon Jovi. Ce n'è per tutti i gusti, compresi Bruce Springsteen ed Elton John, anche se i moralisti più intransigenti hanno già puntato il dito verso il rap di Fifty Cent, il cui passato gangsta e certe frasi spinte messe in musica mal si conciliano con la famiglia reale e i dettami del reverendo Welby.

Ma tant'è, gli affari sono affari e il fiuto è quello di un volpone dell'industria musicale come Merck Mercuriadis, fondatore di Hipgnosis Songs Fund, marchingegno creato per gestire le royalties e finanziato anche attraverso gli investimenti sovrani del CCLA Investment Management. Un articolo apparso sul Financial Times addirittura ha «elevato» le acquisizioni remunerative di Mercuriadis, tra l'altro ex manager di Elton John, a terza certezza della vita, oltre alla morte e alle tasse. E non senza una punta di sarcasmo. In appena due anni il fondo è riuscito a raccogliere 1,2 miliardi di sterline rispetto a quando era stato fondato, ma il portafoglio è destinato a ingrossarsi sempre di più visto il boom delle piattaforme streaming che registra un flusso di cassa continuo e beneficia a piene mani di un lockdown diffuso, con gli amanti della musica incollati alle cuffiette, in assenza di concerti live, per sfuggire alla routine. Ogni click è moneta sonante, non a caso i fondi in questione parlano di «oro, in quanto bene rifugio a tutti gli effetti, paragonabile a un quadro di valore. Ma anziché esporlo, puoi ascoltarlo quanto volte vuoi». A fine anni Ottanta, This Note's for You di Neil Young, disco che vide il ritorno del cantante alla storica casa discografica Reprise Records, tirava le orecchie a chi commercializzava la musica rock, vendendo l'anima al diavolo, con un riferimento nemmeno troppo velato al contrattone strappato da Michael Jackson alla Pepsi.

Ebbene, mercoledì scorso lo stesso Young ha ceduto la metà dei diritti di tutte le sue canzoni proprio alla Hipgnosis Songs Fund, intascando quasi 50 milioni di dollari. L'arcivescovo potrebbe rabbrividire, ma la Regina Elisabetta ci aveva visto giusto.

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