La fabbrica dei giochi made in Italy uccisa dalla concorrenza dei cinesi

Hanno retto fino a che hanno potuto. Da lunedì la stamperia dei sogni dei più piccoli smetterà di esistere

La fabbrica dei giochi made in Italy uccisa dalla concorrenza dei cinesi

Per settant'anni hanno tenuto aperti i battenti, sfidando un'economia in forte cambiamento e continuando a produrre quei giocattoli per cui erano diventati famosi, dalle lavagne ai garage in miniatura, fino alle cucine per le bimbe. Ora della Faro, la Fonderia alluminio Ruschetti di Omegna, non resta più nulla, sconfitta dalla tecnologia e dalla concorrenza dall'estero.

"La tecnologia ha ucciso la fantasia - ha raccontato con amarezza alla Stampa Andrea Ruschetti, figlio del titolare dell'azienda -. Le nuove generazioni usano i giochi elettronici e il piacere di manipolare oggetti sta lentamente sparendo".

Delle centinaia di giocattoli nel catalogo Faro resterà poco. Ieri mattina la decisione di chiudere per sempre, lasciando a casa 29 persone, perché se "dagli anni Ottanta" la società ha affrontato diverse crisi, ora il fatturato da sette milioni è sceso a quattro e con la Cina sui mercati tenere il passo è diventato impossibile.

Potevano spostarsi in Cina, dove i giochi vengo copiati regolarmente, ma "non saremmo stati più la stessa cosa e comunque non

avremmo salvato i dipendenti", dice Laura Ruschetti. E anche il sindacato riconosce che i proprietari hanno fatto tutto il possibile, ma "ci voleva un miracolo".

Ora, ad Omegna, di quella fabbrica di sogni non resterà più nulla.

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