Borsellino, i 57 giorni di terrore e la strage "annunciata"

Nel 1992 i due magistrati persero la vita in due attentati mafiosi. A distanza di 25 anni, sulle stragi di Capaci e via D'Amelio rimane un velo di mistero

Borsellino, i 57 giorni di terrore e la strage "annunciata"

Il 1992 è stato un anno chiave della storia recente italiana. Tra il 23 maggio e il 19 luglio, i due magistrati del pool antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino saltarono in aria insieme alle loro scorte, portandosi via con sé un bagaglio incredibile di informazioni sulla storia e sulle attività della mafia siciliana. Due attentati che in un certo senso erano annunciati - soprattutto quello costato la vita a Falcone, sua moglie e tre poliziotti - e avvenuti in un contesto molto particolare, caratterizzato da un misterioso intreccio tra incapacità e complicità.

La prima strage avviene il 23 maggio. Falcone, la compagna Francesca Morvillo e tre agenti della scorta stanno viaggiando in macchina verso Palermo. Arrivati all'altezza di Capaci, una tremenda esplosione li uccide sul colpo. Ad azionare il detonatore, secondo le conclusioni della magistratura, il mafioso Giovanni Brusca. Lo strumento? Un banale telecomando.

I 500 chili di tritolo piazzati sull'autostrada non lasciano scampo a Giovanni Falcone, storico membro del pool antimafia che aveva contribuito a istruire il Maxiprocesso del 1986. Con lui Paolo Borsellino che un mese dopo, per la precisione il 25 giugno, denuncia la costante opposizione al lavoro e al modus operandi di Giovanni Falcone da parte delle istituzioni.

"Secondo Antonino Caponnetto, Giovanni Falcone cominciò a morire nel gennaio del 1988. Io condivido questa affermazione. Oggi che tutti ci rendiamo conto di quale è stata la statura di quest'uomo, ripercorrendo queste vicende della sua vita professionale, ci accorgiamo - aggiunge in pubblico Borsellino - come in effetti il Paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò proprio a farlo morire il primo gennaio del 1988, quando il Csm con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Antonino Meli".

Chiaro il riferimento al muro opposto dalle istituzioni alla nomina di Falcone a responsabile della Direzione nazionale antimafia. Secondo Borsellino, l'amico Falcone voleva soltanto continuare a fare il magistrato, ma gli fu impedito. Come gli fu impedito, a lui e Borsellino, di proseguire il loro straordinario lavoro all'interno del pool di Caponnetto.

Nella sua ultima intervista, Borsellino racconta al giornalista del Tg1 Lamberto Sposini di sentirsi "un cadavere che cammina. io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche - confessa il magistrato palermitano - che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare".

Durante quei maledetti 57 giorni, probabilmente Borsellino scopre i nomi degli assassini di Falcone. Vuole far presto, sente che da un giorno all'altro potrebbe succedergli qualcosa. Intuisce che dietro la strage di Capaci ci potrebbe essere un incredibile impasto tra mafia e politica. Ma Cosa Nostra non gli dà il tempo di cercare le prove.

Il 19 luglio 1992 è una domenica mattina. Borsellino pranza insiema alla moglie Agnese e ai figli Manfredi e Lucia.

Poi si reca con la scorta in via D'Amelio, dove vivono madre e sorella. Entra, trascorre qualche minuto con loro e poi esce di casa. Sono le 16.58. Esplode un'autobomba. Da quel giorno via D'Amelio non sarà più la stessa. E nemmeno l'Italia.

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