Gesù di Nazareth? Un nemico della famiglia tradizionale. Un sovvertitore dei ruoli prestabiliti, uno che rinnegava certi valori. Addirittura, una sorta di attivista queer. Il catechismo secondo Michela Murgia è un compendio di relativismo spicciolo che di cristiano, per chi abbraccia la fede della Chiesa, ha davvero poco. Ma che importa: nella retorica del femminismo d'oggi, l'unico dio nel quale credere non può che avere connotati fluidi. Persino il modello trinitario non ha più senso. Lo ha spiegato la stessa scrittrice in un'intervista a La Stampa, nella quale ha offerto ai lettori un sermone domenicale che non ha risparmiato nessuno. Nemmeno Giorgia Meloni.
Il "catechismo" di Michela Murgia
"La famiglia di Nazareth nel Vangelo non è il modello di niente", ha spiegato la novella "esegeta" femminista, offerendo anche degli esempi che suffragassero questa sua tesi. "Quando qualcuno va da Gesù cercando di fargli dire qualcosa di familistico tipo 'sono venuti qui tua madre e tuo fratello a chiamarti perché stai facendo un po' il pazzo in piazza', lui dice 'chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?', cioè io giudico sulla base di chi fa la volontà del Padre, non ci sono titoli e ruoli, non li riconosco. Quando dice con durezza 'io sono venuto a portare la spada, non la pace, tra il padre e il figlio, tra la madre e la figlia', mette in crisi i cultori della famiglia tradizionale". Una spiegazione abbastanza semplicistica, e anche errata per la dottrina, della quale però la scrittrice sarda è sembrata parecchio convinta.
Secondo Murgia, del resto, quello della famiglia tradizionale - con padre, madre e bambini - sarebbe un modello fittizio, costruito "negli anni Sessanta" e diverso da quello della famiglia allargata che invece esisteva nelle realtà rurali. "Il fatto che lo Stato riconosca soltanto forme di aggregazione in coppia, riportando il rapporto affettivo solo a un binomio, fa ridere perché nei fatti non è così", ha proseguito la scrittrice, la quale rifiuta anche l'esistenza di valori definiti "non negoziabili" (per usare una storica definizione del cardinal Ruini). "Non esistono nel consesso umano valori non negoziabili. Tutto è negoziabile, perché siamo tutti diversi, la democrazia è l'esercizio della negoziazione più estremo che ci sia. Anche la pace si fa con i negoziati", ha affermato l'attivista queer.
L'attacco a Giorgia Meloni
In simile contesto teorico, il giudizio - peraltro arcinoto - della scrittrice su Giorgia Meloni non poteva certo stupire. "Lei beneficia oggi dei risultati del femminismo, ma il femminismo l'avrà sempre come nemica", ha sentenziato Murgia, arrabbiandosi anche con quelle donne che da sinistra hanno espresso apprezzamenti al neopremier. "Sono allibita dalla simpatia che il discorso di Meloni in Parlamento ha suscitato in molte donne perché non ha sovvertito alcuno schema: non ha detto nulla che non ci si aspettasse da lei, a parte la furbata di intestarsi i percorsi di emancipazione di donne che, se l'avessero conosciuta quando erano vive, sarebbero state sicuramente dalla parte opposta delle barricate", ha aggiunto l'attivista sarda. E ancora: "Meloni ha fatto una costruzione di sé come underdog, la perdente che sovverte i pronostici, che non sta in piedi: a 29 anni era deputata e a 31 ministro".
"Vuole svuotare le battaglie linguistiche"
Sulla questione del ruolo di presidente declinato dal premier al maschile, poi, Murgia è salita sulle barricate. "L'unico motivo per cui una donna dovrebbe rifiutare di farsi declinare al femminile è una disforia di genere, che dubito però la riguardi. In realtà il tentativo è quello di svuotare di significato le battaglie sul linguaggio, che invece sono importanti perché la lingua è l'infrastruttura del pensiero.
Loro continuano a dire 'non conta niente', ma allora perché impiegano tanta energia? Sanno che conta, sanno che se tu cambi i nomi, cambi anche i rapporti tra le cose", ha osservato, accusando il presidente del consiglio di voler così i progressi sul linguaggio inclusivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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