Se di più non si può, ci accontenteremo di trent'anni. Ma non bastano per l'omicidio di suo figlio e non bastano per il femminicidio che Veronica Panarello ha commesso strangolando Loris. Perché ammazzando il suo bambino, ha ammazzato «la donna». Ha ammazzato l'essenza della donna e tutto quello che una donna dovrebbe essere. «Personalità non armonica, ma in grado di intendere e di volere» dicono le perizie. E allora non c'è «scusa», non c'è «motivo», e non può esserci perdono. Non ha senso, fa solo senso. Ve lo ricordate? Lo ha ammazzato e lo ha scaraventato in un canalone. E poi ha aspettato che qualcuno, dopo giorni, ritrovasse il corpo del suo bambino. Aveva otto anni Loris e lei lo ha gettato là e ha atteso, zitta. Perché così serviva alla sua storia. Lo ha ammazzato (dopo esserselo tenuto dentro, averlo partorito e cresciuto) e per notti e notti è andata a dormire, nel suo letto, al caldo, sapendo di aver buttato via il corpo senza vita del suo bambino. Lasciandolo all'addiaccio, in balia del buio, del freddo, degli animali.
Non è una donna Veronica Panarello. E comunque le ha uccise tutte. Le ha uccise tutte anche con quella corona di fiori spedita dal carcere e fatta sistemare sulla bara bianca dal suo avvocato: «Da mamma Veronica». Le ha uccise tutte chiedendo di andare sulla tomba di suo figlio, il 6 agosto del 2015, piangendo, pregando, bisbigliando per un'ora e dicendo, questo ad alta voce, «lo scoprirò chi è stato». Nemmeno da morta l'ha lasciata in pace quella creatura. Che oltretutto aveva la sua faccia. Identica. Non ha smesso di torturarlo nemmeno da morto.
Come quando è andata sul luogo del ritrovamento a piangere stravolta e a svenire stando in piedi e a contorcersi e a farsi sorreggere dal marito e dagli agenti, che è poi quando siamo stati tutti trafitti da un brivido e abbiamo temuto e abbiamo sperato che davvero lei non c'entrasse niente. O come quando il 21 novembre del 2015 è rientrata in casa sua per un sopralluogo con gli inquirenti e ha ripercorso le mosse di quella dannata mattina: girava per le stanze, toccava gli oggetti, apriva la lavastoviglie, gli armadietti della cucina, la mensola dietro lo specchio del bagno, girava la manopola della radio, apriva il rubinetto e parlava di Loris, dei jeans sporchi della sera prima che lui aveva rindossato disubbidendo. E poi si ricordava del biberon del figlio più piccolo «perché sì, ecco, lo avevo lavato», pure il biberon ha tirato in ballo... E vagava energica da una stanza all'altra per fare vedere che ce la metteva tutta ad aiutare gli agenti a ricostruire e si metteva le mani sulle labbra come per concentrarsi o riprendersi o rispedire indietro la commozione. Quale commozione Veronica? Per cosa esattamente?
O come quando accusava l'amante-suocero e allora spiegava ai giudici, due anni
dopo: io Loris l'ho «solo legato», poi sono tornata nella stanza e lui lo aveva ucciso. E per una madre, cosa sarebbe semmai cambiato Veronica? Tu lo avevi «solo legato»?Se di più non si può, ci accontenteremo di trent'anni.
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