Il pacifismo a senso unico di chi spara sui militari

Non può esserci una Festa della Repubblica senza la sfilata delle forze armate, l'omaggio a chi difende i confini della Patria ed interviene a spegnere focolai pericolosi nel mondo

Il pacifismo a senso unico di chi spara sui militari

Anfibi che calpestano il pavè dei Fori Imperiali a passo cadenzato. Ottoni lucenti che eseguono marce composte nella notte dei tempi, quando l'Italia pre unitaria era un agglomerato di potentati locali.

Non può esserci una Festa della Repubblica senza la sfilata delle forze armate, l'omaggio a chi difende i confini della Patria ed interviene a spegnere focolai pericolosi nel mondo. Ma ormai tutto è opinabile, soprattutto per quella corrente di pensiero, alimentata dai social, che ridiscute i punti fermi in nome di una sgangherata crociata contro il mainstream. Gli anni Settanta non finiscono mai per qualche giapponese rimasto nella giungla a combattere nemici immaginari: gli uomini e le donne delle forze armate.

Davanti alle massime autorità dello Stato, ha sfilato l'altra Repubblica, oltre ai reparti armati: sindaci, medici, infermieri, volontari, persino i dipendenti civili della Difesa. È la fotografia di una società che cambia, di un Paese che si modernizza. La parata del 2 Giugno è diventata in effetti «ibrida», come non ne esiste in nessun'altra parte del mondo, sottolinea forse con un pizzico di rammarico il generale Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica. Un garbato appunto, del tutto legittimo che non va a stroncare le aperture protocollari alla società civile. Ormai la sfilata ha assunto una fisionomia mista che ingloba fasce tricolori e divise, camici e passamontagna da operazioni speciali, stetoscopi e Frecce tricolori. Nell'Italia dei paradossi questo diventa troppo, non per i tradizionalisti che alla fine accettano l'evoluzione dei tempi, ma per i massimalisti che vorrebbero espellere i legittimi protagonisti: i soldati.

È tutto un brulicare di linguaggi ritriti e attacchi diretti alle celebrazioni della Repubblica nel pentolone dei social e delle notizie d'agenzia. L'artista Moni Ovadia si allarma per «la retorica militarista che è sempre uno strumento per cercare di gettare fumo negli occhi». L'attore Ascanio Celestini rilegge la storia: «Le armi hanno messo più volte il nostro Paese in pericolo». Stessi toni tra i parlamentari di estrema sinistra. «Mettere quei quattro ferri vecchi in piazza è la cosa meno vicina alla volontà dei cittadini» (Dessì, Cal). «Parata anacronistica» (Nugnes, Misto).

Certi tic sorti durante l'infanzia non si possono certo correggere in età matura. Al di là di una sfilata che dura qualche ora, resta l'avversione per i militari di carriera, ridotti a strumento di repressione che inghiotte i soldi dei contribuenti. Alla fine, chissà perché, certa sinistra mostra sempre comprensione e simpatia per gli eserciti che aggrediscono, specialmente se invadono Paesi come l'Ucraina che hanno scelto di vivere sotto l'ombrello dell'Occidente anziché nell'orbita di autocrazie post comuniste. Una rivisitazione del classico «se la sono andata a cercare».

Con l'Europa dell'Est

in fiamme, per noi italiani resta un lusso vivere sotto la protezione delle forze armate, quelle che qualcuno vorrebbe smantellare per odio ideologico. Chi sogna la pace chiudendo le caserme dovrà prepararsi alla guerra.

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