Quella fine tragica per un teatro vuoto

La storia è stupida e tragica. Parla di un imprenditore di Agrigento, tal Alberto Re, impallinato dai social per aver organizzato un festival di cinema sportivo, il "Paladino d'Oro", rivelatosi un flop

Quella fine tragica per un teatro vuoto
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L a storia è stupida e tragica. Parla di un imprenditore di Agrigento, tal Alberto Re, impallinato dai social per aver organizzato un festival di cinema sportivo, il «Paladino d'Oro», rivelatosi un flop, tanto che all'apertura della rassegna non si era presentato nessuno. L'accusa è scontata, telefonata: spreco di denaro (...)

(...) pubblico. L'ira degli accusatori è tanto più furibonda quanto più la loro identità resta ignota. Una duplice vergogna si fa strada nella testa dell'uomo: per l'insuccesso dell'iniziativa e per il linciaggio mediatico. L'uomo si ritira in solitudine e si spara un colpo alla testa.

Prima di dare la colpa a qualcuno, soffermiamoci a considerare quanta violenza si concentra in questa storia senza senso. A pensare a come la violenza esista prima di essere di qualcuno. C'è quella che si esprime attraverso i social, ma i social non sono «qualcuno». Forse gli accusatori del povero Alberto Re erano brave persone come sembra sia stato lui: marito, papà, nonno esemplare - così lo descrivono i familiari -, uomo buono e mite. Bravi come lui, buoni come lui. Eppure la violenza si è scatenata ugualmente, come un uragano. C'è poi la violenza interiore, quella di chi ha fallito in parte per colpa propria, e in parte (immagino) per non essere stato sostenuto da chi avrebbe dovuto farlo: enti pubblici, media, sponsor mancati, gente insomma non cattiva, ma che aveva altro per la testa, che doveva tirare dritto, che aveva delle priorità, oppure non aveva capito, aveva frainteso. Succede. Ma è dura da sopportare. Bisogna trovarsi davanti al fallimento di qualcosa in cui avevamo creduto per capire di quanta violenza è fatta la distrazione del mondo, e di quanto anche noi, forse per un'ultima tragica vendetta, possiamo diventare violenti con noi stessi. Perché tirarsi un colpo è una cosa violenta: l'ultima - stavolta intenzionale - dopo tante violenze preterintenzionali. L'ultima violenza di un uomo che forse, in un momento di tristezza, non ce l'ha fatta a sopportare un mondo come questo, fatto di brava gente, di buoni cittadini, di stronzi insomma come tutti noi, piegati sotto la legge che ci vuole sempre sopraffattori e poi sopraffatti e poi ancora sopraffattori.

L'ultima violenza, definitiva: un colpo di pistola, un atto di mesta consapevolezza, come dire: io so perché adesso muoio, voi non sapete perché mi avete ucciso. Voi non sapete che cos'è un uomo, io - amaramente - lo so. E poi, forse, la pace desiderata, la fine dei conflitti, la fine della violenza.

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