La diffamazione dopo l’omicidio. La settimana scorsa il giudice Roberto Tanisi si è espresso con un primo verdetto nei confronti dei genitori di Lucio Marzo, il giovane salentino che ha confessato il brutale femminicidio di Noemi Durini, avvenuto nel settembre 2017 e per il quale è stato condannato a 18 anni e 8 mesi con rito abbreviato.
Secondo quanto riporta il Corriere Salentino, Biagio Marzo e Rocchetta Rizzelli, padre e madre di Lucio, sono stati condannati rispettivamente a 1 anno e 6 mesi di reclusione. La giustizia ha concesso loro la pena sospesa e disposto una provvisionale di 10mila euro per la mamma di Noemi, Imma Rizzo, parte civile nella questione.
A luglio 2020 intanto, a Muro Leccese, poco lontano da Specchia, dove la giovane Noemi ha vissuto e dove ha trovato una morte terribile e iniqua, è stato inaugurato uno sportello antiviolenza alla sua memoria, finanziato dalla Regione Puglia e gestito da Comunità San Francesco per conto del Consorzio per l’Integrazione e Inclusione Sociale dell’Ambito di Maglie. La signora Imma, in prima linea nella lotta alla violenza di genere, ha presenziato alla sua inaugurazione, pronunciando queste parole, come riportato all’epoca dalla Gazzetta del Mezzogiorno: “Il sacrificio di Noemi non deve essere vano”. La mamma di Noemi ha raccontato a IlGiornale.it di sua figlia e di cosa può fare ogni persona affinché non accada più quello che è accaduto. Noemi aveva 16 anni quando scomparve e fu trovata morta nelle campagne intorno a Castrignano del Capo. Fu sepolta viva da un coetaneo con cui aveva una relazione sentimentale.
Imma, crede che i genitori di Lucio Marzo chiederanno scusa?
“No, non mi hanno chiesto scusa nell’aula del tribunale. Non credo che lo faranno mai e non lo vorrò nemmeno. Non l’hanno fatto in quasi quattro anni, avrebbero potuto farlo, hanno avuto tutto il tempo. Per ben due anni hanno diffamato Noemi e la mia famiglia. Non tanto me, perché io alla fine sono viva, riesco a sapere come potermi difendere dalle accuse. La mia coscienza è pulita come mamma”.
Esiste un rischio che, nelle narrazioni di cronaca nera, la storia della vittima possa passare in secondo piano rispetto a quella del killer?
“Succede, ogni giorno si leggono articoli di questo tipo nei casi di femminicidio. Si parla più dell’assassino che della vittima, quando invece si dovrebbe parlare della vittima. E troppo spesso leggo degli articoli in cui si giustifica addirittura il killer, affermando che fosse geloso o che la vittima fosse una bella ragazza. Non esiste. Alla donna è stata tolta la vita. Non si può giustificare un femminicidio”.
Qual è la storia di Noemi? Ci racconti un po’ di lei.
“Noemi, da quando è nata, è stata da sempre appassionata di danza. All’età di 3 anni, la iscrissi a danza classica e iniziò un percorso di apprendimento sulla danza classica e poi sulla danza moderna. Amava tantissimo gli animali. Amava tanto stare in mezzo alle persone, soprattutto le persone più fragili e nel suo piccolo le supportava. A volte faceva volontariato in alcune strutture. A scuola c’era un compagno con autismo che voleva stare solo con lei, perché Noemi riusciva a relazionarsi bene grazie alla sua empatia. Aveva un cuore puro”.
Cosa può fare ognuno di noi per contrastare la violenza di genere?
“Ogni persona può contribuire: il buon esempio è sempre uno specchio riflesso per gli altri. La prima cosa da fare è non essere omertosi. Perché l’omertà, a mio avviso, uccide due volte. Quando una ragazzina o una donna subisce violenza - parliamo sia di quella fisica che di quella psicologica - è importante che sappia che può parlare con qualcuno. Certo, quando c’è violenza fisica, possiamo sentire ad esempio le urla, ma la violenza psicologica è più difficile da individuare. Se sappiamo che una donna cerca di sopravvivere alla violenza, abbiamo il dovere morale di parlare con lei, consigliarle di chiedere aiuto. Ci sono le istituzioni, come i centri antiviolenza. Spero che, dopo tutto quello che è successo a Noemi, anche le forze dell’ordine siano più solerti: mi auguro che incoraggino sempre più donne a sporgere denuncia. Le forze dell’ordine svolgono un ruolo importante come istituzione”.
Esiste, a suo avviso, un problema diffuso o potenziale di violenza di genere tra i giovanissimi?
“Sì. La violenza è quotidiana, potenzialmente parlando, nella vita. Ci può essere violenza in casa, quando si è bambini: ci sono genitori che mettono le mani addosso ai figli. Quando si comincia ad andare a scuola, anche gli insegnanti possono essere violenti, senza contare il possibile bullismo dei compagni. Di questi argomenti si dovrebbe parlare di più, perché il rischio c’è e l’informazione gioca un ruolo fondamentale. Da un po’ di anni almeno, si viene a conoscere della violenza che avviene in alcune scuole, ma a volte si finisce per parlare di questi argomenti solo in determinate occasioni. Come per i femminicidi si torna a parlarne solo nella giornata contro la violenza sulle donne o per l’8 marzo. Anche i centri antiviolenza sostengono che se ne debba parlare sempre, magari anche attraverso film di sensibilizzazione, in modo da innescare un cambiamento culturale. Il primo posto in cui parlare dei rischi è in famiglia, ma anche nella scuola, dove gli adolescenti trascorrono la maggior parte del tempo. Dovrebbe essere proprio una materia, ci dovrebbero essere consulenze e incontri con professionisti”.
Si poteva fare qualcosa per proteggere Noemi?
“Si poteva fare tanto, soprattutto a scuola o nel paese, è possibile che qualcuno abbia visto e non abbia parlato. Ma non si è fatto nulla, ahimè”.
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