Si ricomincia. Il 12 settembre apriranno tutte le scuole, pubbliche statali (7.717.308 studenti) e pubbliche paritarie (1.109.585). Riguardo a queste ultime, parola di Ministro, “per il 99% fanno bene il loro lavoro in Italia” e “se non ci fossero sarebbe un disastro” (Matteo Salvini, da Oggiscuola del 20/8/2018). L’1% scadente è, di conseguenza, quello che sfugge al doveroso controllo dello Stato. Peccato che in Italia la scelta della buona scuola pubblica paritaria – diritto del genitore secondo la Costituzione - dipenda dallo spessore del portafoglio... chi la sceglie deve pagare un contributo, oltre alle tasse. Il genitore povero non ha il diritto di educare il proprio figlio nella scuola pubblica paritaria, se la pubblica statale – per legittimi motivi suoi - non gli va. A margine, il concetto che “pubblico” non coincide con “statale” non è chiaro neppure al Ministro dell’Interno: “Sono contento che gli italiani possano scegliere tra scuola pubblica e scuola privata”… In realtà oggi la scelta (che non esiste, perché il povero resta al palo) può avvenire solo nell’ambito della “scuola pubblica” che in Italia è statale e paritaria, perché, per legge (62/2000), il Servizio Nazionale di Istruzione è formato da scuole pubbliche statali – gestite dallo Stato – e scuole pubbliche paritarie – gestite da Enti privati, Comuni e Province. Le scuole non paritarie (le vere “private”) non sono scuole pubbliche e quindi non fanno parte del SNI. Di conseguenza, ciò che il Ministro afferma: “Il pubblico deve controllare. Anche nelle infrastrutture”, va corretto come segue (…per evitargli un voto gravemente insufficiente in diritto amministrativo): “Lo Stato deve controllare le scuole pubbliche, sia statali che paritarie” e naturalmente le infrastrutture nelle quali il servizio pubblico scolastico, gestito dallo stesso Stato o gestito da Enti privati, si svolge.
Senza dubbio il ministro Bussetti ha le idee molto più chiare. Nell’intervista a Il Giornale del 21 agosto afferma: “Le scuole paritarie sono parte integrante del sistema nazionale di istruzione e svolgono un ruolo fondamentale, sancito dalla nostra Costituzione”. Il problema è come evitare che siano spazzate via dall’impossibilità degli utenti a sceglierle liberamente. E’ chiaro che il Ministro intende parlare di scuole pubbliche paritarie degne di questo nome, che sono il 99% del totale (tutto quadra tra ministri!), con requisiti di legge certificati, docenti abilitati e rette entro i 4000,00 euro annui. Da notare: i contribuenti italiani, per le scuole pubbliche statali, spendono in media più di 8.000,00 euro annui per allievo… Infatti il Ministro chiosa: “Occorre fare una riflessione sui costi che lo Stato dovrebbe assumersi con la cancellazione della scuola paritaria». A questo punto il rimedio che segue appare, in prospettiva, incongruente per a) salvare il pluralismo offerto dalle scuole pubbliche paritarie, b) consentire al povero di sceglierle, c) offrire ai docenti la libertà di insegnamento: “è necessario – afferma Bussetti - rivedere il meccanismo di erogazione delle risorse destinate alle scuole paritarie con nuovi parametri”. E’ questo il punto: tagliare risorse alle scuole? Non conviene nei confronti delle scuole pubbliche paritarie dell’Infanzia: ci sono zone d'Italia dove la scuola dell'infanzia è solo paritaria, gestita cioè dai comuni e da enti privati convenzionati. La pubblica statale non c'è. Non conviene neppure tagliare i 500 euro annui per gli allievi della pubblica paritaria primaria e i 50 euro per quelli della pubblica paritaria secondaria… semplicemente perchè queste scuole pubbliche collasserebbero, dando un colpo mortale anche allo Stato. Basta moltiplicare la spesa di euro 8000,00 – quanto costa in media, ai contribuenti, un alunno della pubblica statale - per il numero degli alunni frequentanti ad oggi le scuole pubbliche paritarie destinate alla chiusura: 1.109.585, per un totale di spesa annua dello Stato di 8 miliardi 876 milioni 680 mila euro.
Non è questione di erogare o non erogare i contributi alle paritarie, bensì di garantire la libertà di scelta educativa dei genitori dando a questi il potere decisionale attraverso il costo standard di sostenibilità per allievo.
Individuato il costo standard annuale per alunno (calcolo già effettuato in un ormai celebre studio, “Il Diritto di Apprendere”), lo Stato dia il corrispettivo a ciascuno studente perché la famiglia lo spenda nelle scuole pubbliche, statali o paritarie, che sceglierà. Con questi contributi, calibrati a seconda dei contesti sociali ed economici dell’utenza e delle scuole, tutti gli istituti pubblici, statali e paritari, dovranno autosostenersi ed applicare criteri di merito nelle linee gestionali, compresa la scelta dei docenti più adeguati alla realizzazione dell’Offerta Formativa di ciascuna scuola. Infatti, Il finanziamento in regime di costo standard implicherebbe l’applicazione a tutti gli insegnanti pubblici (statali e paritari) della retribuzione secondo il CCNL, con un atto di giustizia verso la libertà di insegnamento, al momento totalmente disattesa in Italia.
In sintesi, come il Ministro ben sa, il sistema del costo standard di sostenibilità risolverebbe gran parte dei problemi attuali:
- permetterebbe di soddisfare il diritto fondamentale a) degli alunni, inclusi i portatori di handicap, di apprendere senza alcuna discriminazione e b) dei genitori di scegliere la scuola in cui educare i propri figli, come avviene in tutta Europa tranne la Grecia;
- favorirebbe la concorrenza fra le scuole, rendendo più efficiente il sistema educativo italiano;
- garantirebbe la libertà agli insegnanti delle scuole pubbliche italiane di scegliere se insegnare in una paritaria o in una statale, a parità di stipendio;
- lo Stato risparmierebbe notevolmente – dai 3 ai 7 miliardi di euro annui - sulla spesa del Servizio Nazionale di Istruzione.
Il costo standard è l’unica soluzione. L’alternativa? “Un disastro”. Parola di Ministro.
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