C'è un elemento che accomuna le due piazze pacifiste di Roma e Milano: nate in polemica l'una contro l'altra, non hanno una proposta per la pace tra Russia e Ucraina. Sono due piazze ubriache di retorica, ma disarmate davanti al conflitto. Quella di Roma - grillino-piddina - è per la pace a qualunque costo e se ne frega dei motivi della guerra, per cui paradossalmente è inerme di fronte ai morti e alle rovine. L'altra, nata in antagonismo con la prima, è un'iniziativa che serve più ad accreditarsi presso gli alleati - Zelensky, Biden e von der Leyen - e non abbozza nessuna soluzione per un cessate il fuoco. Sono due pacifismi da piazza, appunto, nati solo ad uso interno.
Per raggiungere la pace ci vuole ben altro: realismo, pragmatismo, tutto meno la retorica. Se ci sarà una tregua tra Ucraina e Russia purtroppo sarà determinata da un equilibrio delle armi e si raggiungerà quando nessuno dei due eserciti riuscirà ad attaccare o contrattaccare. Sarà determinata dall'impotenza. È un'analisi che spesso abbiamo scritto sul Giornale e che ieri anche Federico Fubini sul Corriere ha ripetuto. Ci vorranno altri due mesi di guerra, poi nessuno dei due eserciti sarà in grado di avanzare. A quel punto bisognerà cristallizzare la situazione e creare le condizioni per una tregua che convenga a tutti. Kiev probabilmente nel frattempo riconquisterà pezzi di territorio nel Donbass ma non tutti quelli che ha perso. Né tantomeno riprenderà la Crimea. Per cui quei territori annessi alla Russia saranno il bottino di guerra con cui un Putin, stremato, potrà consolarsi. Il vero problema sarà convincere Zelensky: bisognerà offrirgli una pace che anche per lui abbia il sapore della vittoria.
Il primo passo può essere quello di assicurargli le risorse per ricostruire il Paese, un altro piano Marshall (Berlusconi docet). Ma la vera contropartita sarebbe una garanzia di sicurezza che impedisca ai russi di ricominciare. Non saranno certo i discorsi strampalati di Conte a indurlo a mettere dei fiori nei suoi cannoni. Né il contingente di peacekeeping Onu che ipotizza Fubini: roba da Libano, non certo da Ucraina. C'è semmai da squarciare il velo di ipocrisia che circonda il conflitto: l'Ucraina, di fatto, è già entrata nella Nato. Gode dell'assistenza che avrebbe qualsiasi membro dell'Alleanza se fosse trascinato in un conflitto (a cominciare da un numero sterminato di consiglieri occidentali in divisa) e può contare sull'ombrello nucleare Usa. Allora tanto vale accogliere formalmente l'Ucraina nella Nato (Kiev lo ha già chiesto) per convincerla alla pace. Un passo che Zelensky potrebbe rivendersi come una vittoria: il conflitto è iniziato perché Putin voleva scongiurare questo rischio, ma alla fine si ritroverebbe con tre nuovi Paesi (oltre all'Ucraina, Finlandia e Svezia) nell'Alleanza.
E per l'Ucraina una garanzia di libertà per l'oggi e per il futuro vale più di un pezzo di Donbass pagato con un mare di sangue. Potrà sembrare un'idea strana, ma a pensarci bene, se non sei ubriaco di retorica pacifista, la Nato come strumento di pace non è un paradosso.
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