Minaccia iraniana o pressione americana? Per qualche ora, ieri mattina, l'interrogativo ha accompagnato il ritiro da Khan Younis - sabato notte - di buona parte della 98ma Divisione, l'unità dell'esercito israeliano incaricata di combattere Hamas nelle zone centro meridionali della Striscia. Ma più le ore passavano più si capiva che le minacce iraniane c'entravano ben poco. Anche perché l'eventualità di un incursione di Hezbollah dalla frontiera libanese, o di milizie sciite da quella siriana, è quanto mai improbabile.
E comunque già prevista da una strategia israeliana che di certo non lascia sguarnite le frontiere più calde. Non a caso il ministro della Difesa Yoav Gallant sottolinea come Israele sia pronta ad affrontare «qualsiasi scenario che si possa sviluppare con l'Iran». Molto più probabile invece, malgrado le smentite israeliane, che l'improvviso abbandono della zona di Khan Younis sia dovuto alle pressioni della Casa Bianca. Pressioni diventate insostenibili dopo l'uccisione nella Striscia di sette operatori umanitari di World Kitchen e la reazione di una Casa Bianca decisa a sospendere ogni fornitura di armi e munizioni qualora Israele continuasse a ostacolare gli aiuti umanitari a Gaza. Proprio quelle pressioni avrebbero costretto il governo Netanyahu a riaprire il valico di Erez, chiuso fin dal 7 ottobre, e garantire il transito di cibo e medicine dal porto di Ashdod. In questo contesto attribuire il ritiro alla necessità di «far riposare i soldati» - come fa la Casa Bianca per bocca del portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza John Kirby - appare quanto mai riduttivo. Anche perché in Egitto si moltiplicano le indiscrezioni su un cessate il fuoco in vista della festa di fine del Ramadan di domani.
Ma al ritiro e alle voci sul cessate il fuoco s'aggiungono le indiscrezioni su una possibile intesa con Hamas per lo scambio degli ostaggi. L'argomento è stato nuovamente affrontato ieri al Cairo durante una riunione a cui hanno partecipato il direttore della Cia William Burns, il ministro degli esteri del Qatar Mohammed Al Thani e - per parte israeliana - il capo del Mossad David Barnea e quello dello Shin Bet Ronen Bar. S etre indizi fanno una prova, il ritiro della 98ma Divisione, la riapertura agli aiuti umanitari e il vertice del Cairo sarebbero dunque il preludio di una più larga intesa imposta dagli Usa e accettata dal Qatar, che prevederebbe, tra l'altro, maggiori libertà di movimento per i quasi due milioni di palestinesi che hanno abbandonato il nord, il centro e le zone meridionali della Striscia per ammassarsi a Rafah, la città all'estremo sud di gaza non ancora investiuta dall'offensiva israeliana.
Da questo punto di vista l'intesa farebbe comodo anche allo Stato ebraico. Lasciando tornare gli sfollati nel nord e nel centro della Striscia, dove in teoria è già stata eliminata la presenza di Hamas, Tsahal avrebbe mano libera per attaccare, riavuti gli ostaggi e terminata la tregua, le ultime roccaforti di Hamas dentro Rafah.
Lì continuano ad operare otto battaglioni dell'organizzazione fondamentalista. Nel sottosuolo della città si nasconderebbero, invece, gli imprendibili Yahya Sinwar e Mohammed Deif, ovvero il capo politico e quello militare di Hamas che Israele promette di eliminare da ben sei mesi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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