La copertina offre un'immagine rassicurante. Il sorriso vero di Kamala Harris, la bianca camicia aperta sul collo dove risaltano due giri di perle, così come di perle sono gli orecchini, inquadrano soltanto il volto, per evitare le speculazioni scaturite dopo la fotografia ufficiale dell'insediamento, tra scarpe tecniche e abiti casual. Stavolta la vicepresidente degli Stati Uniti esce in libreria con Le nostre verità, un tomo di pagine quasi quattrocento, per i tipi de La nave di Teseo. Più che di un libro si tratta di una antologia di memorie personali, non un romanzo, non un'opera letteraria di stile ed eleganza come era stato, per alcuni, il libro di Obama, Dreams from My father. No, lo scritto di Comme-la, stando alla pronuncia da lei stessa suggerita nel frontespizio, è una sorta di diario preelettorale, tanto per riassumere la propria vita quotidiana, le battaglie politiche, anche contro la cosiddetta sinistra del suo partito che non la vedeva e immaginava inserita in un sistema «bianco», là dove i diritti della popolazione di colore sono ancora sofferenze e disuguaglianza, specie tra gli adolescenti. Non un grande stile di scrittura, quello di lady Harris Emhoff, con il cognome del consorte Douglas, detto Doug, conosciuto per caso e subito amato attraverso i figli dello stesso avuti dal precedente matrimonio. Proprio al marito la vicepresidente dedica le prime righe: «La maggior parte delle mattine, mio marito, Doug, si sveglia prima di me e legge le notizie a letto. Se lo sento fare dei rumori - un sospiro, un gemito, un rantolo - so che tipo di giornata sarà. L'8 novembre 2016 era iniziato bene...». Sembra l'inizio di una storia d'amore, nulla di ambiguo, nessuna sfumatura di strani colori, anche se Kamala Harris dell'amore sa abbastanza, avendo vissuto, sicuramente sofferto, la separazione e il divorzio dei propri genitori che, stando proprio alle sue parole: «Sapevo che si amavano moltissimo ma sembrava che sarebbero diventati come olio e acqua», non molto di più della memoria di quel dissidio, quasi a volerla cancellare, non certamente, però, il rapporto fortissimo con la madre e certe vicende legate all'essere nera, al disagio, all'imbarazzo che invece Doug mai ha dovuto provare, sentire, sopportare essendo un bianco avvocato newyorkese. La madre è presente nel commiato: «Mamma, tu sei la stella di questo libro, perché sei stata la ragione di tutto. Sono quasi dieci anni che ti ho perso, e mi manchi così tanto. La vita senza di te è ancora difficile da accettare. Ma sono convinta che tu ci stia guardando dall'alto. Quando sono bloccata davanti a una decisione difficile, mi chiedo: Che cosa penserebbe mamma?. E, in quel modo, tu sei qui con me. La mia più sincera speranza è che questo libro aiuti coloro che non ti hanno mai incontrata a capire che persona eri. Quello che ha significato essere Shyamala Harris. E quello che significa essere sua figlia». La dolcezza dell'affetto riservata anche per il popolo del suo Paese: «Il popolo americano non ha rinunciato al sogno americano... Ma quando non puoi dormire di notte come si fa a sognare?». Non certo rileggendo il libro di Kamala, che la critica non ha accolto con entusiasmo, alcuni definendolo come una bottiglietta di integratori (marca Soylent), utile per recuperare energie, non certo per riempire biblioteche.
Siamo in attesa di memorie più robuste, di una scrittura meno piatta e ordinaria, ma Kamala Harris è già presidente, è già first lady di se stessa, al suo fianco Joe Biden sembra il bianco di passaggio e di passeggio, i cui libri sono in vendita all'insaputa del mondo.
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