L'alternativa del campo vuoto

Le contraddizioni del campo largo: il mancato confronto, l'antitesi e la metafora della peregrinazione nel deserto

L'alternativa del campo vuoto
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Il viaggio nel deserto non c'è mai stato. Qualcuno pensava che dopo la sconfitta elettorale di due anni fa Pd e Cinque Stelle avrebbero fatto i conti con i propri errori. Si dice che chi perde impara ma non è sempre così. È più facile cercare alibi o, come in questo caso, passare le giornate a demonizzare l'avversario, negando il diritto a governare degli altri. È un abito mentale, in fondo comodo, perché ti toglie qualsiasi responsabilità politica: non solo loro sono peggio di noi, ma non dovrebbero stare lì perché illegittimi. Questa risposta però non ti fa crescere e, soprattutto, lascia la coalizione di sinistra indefinita. È una nebulosa politica che fatica a trovare un'identità. Non c'è quasi un denominatore comune per riconoscersi. Non si sa a chi parla, cosa vuole, quali sono i suoi santi. È uno specchio rotto dove ogni frammento insegue ideali e interessi diversi, qualche volta divergenti.

La sinistra da troppi anni si definisce solo per antitesi. Non sa chi è, ma si percepisce solo in quello che detesta. Il senso del peregrinare nella sabbia ideologica avrebbe dovuto appunto chiarire che semi far crescere nel campo largo e invece l'unica discussione pubblica è sui confini, fino a dove arrivare. Renzi sì e Calenda no, o viceversa. Pd e Cinque Stelle adesso sì e poi magari no e poi ancora sì. È il segno che questo campo resta un terreno elettorale e serve solo a raccattare voti con la speranza di mandare a casa gli impostori. È ancora una volta una ricerca in negativo di se stessi. È una fotografia con i colori al contrario, funziona solo se è sfocata. Questo significa che la sconfitta del 2022 non è servita a nulla. L'unica cosa che sono riusciti a fare in questi anni è piantare una manciata di ortaggi bandiera sulla cittadinanza o sulle battaglie sociali sul genere con lo stesso entusiasmo di un ministeriale alle soglie della pensione. Il resto è un poco fantasioso gioco da pallettari. Ci si limita a ribattere la palla da tennis dall'altra parte. Se qualche punto è arrivato è per gli errori gratuiti dell'avversario. Non ci sono però colpi vincenti. Sono più di vent'anni che la sinistra italiana non crede in grandi progetti di riforma e fatica a immaginare un futuro. La sinistra da troppo tempo è culturalmente sterile.

C'è mai stato davvero un confronto politico tra Pd e Cinque Stelle? Finora si sono solo sfidati su chi debba essere il padrone e il mezzadro del campo largo. Non si sono mai chiesti cosa abbiano in comune per arrivare a una coalizione. I conflitti riguardano più che altro sentimenti di sfiducia o di antipatia. Si prenda il caso Renzi. Il tema non è se il «centro» sia compatibile come valori e idee con il resto dell'alleanza. Non è una questione fondamentale. I dubbi sono sul suo carattere. Renzi è infido. Renzi è spocchioso. Renzi ti dona il bacio della morte. Non è che questi aspetti non siano importanti, ma il fatto che i contenuti politici siano marginali indica che il campo largo è solo una compagnia elettorale.

Il litigio quotidiano tra Grillo e Conte nasce da una incompatibilità umana e da interessi economici. Solo di striscio riguarda il senso politico dei Cinque Stelle. Il fondatore dopo la morte di Casaleggio ha smesso di credere nella rivoluzione etica dell'uomo qualunque. I grillini di fatto non esistono più. Conte ha messo su un partito di aspiranti sottosegretari che non ha tempo da perdere con l'utopia della democrazia diretta. Il campo largo di Conte è stato sempre un terreno tattico.

La sua strategia è lasciarsi le mani libere per allearsi con chi in un dato momento storico e politico potrebbe essergli più utile. La realtà è che il non viaggio nel deserto ha reso tutti più cinici. È questa al momento l'anima della sinistra.

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