Due ponti dividono l'Italia: ecco perché il Paese è a due velocità

L'Italia che va veloce al Nord e lenta al Sud, almeno dal punto di vista infrastrutturale. Un ponte Morandi a Genova realizzato in tempi "brevi" e i viadotti nel basso stivale che attendono da anni la consegna dei lavori

Due ponti dividono l'Italia: ecco perché il Paese è a due velocità

Due ponti progettati dalla stessa mano, ma dai destini completamente differenti. A partire dalla loro ubicazione: uno è a Genova, l’altro è ad Agrigento. Il primo è crollato in quel maledetto 14 agosto 2018, portandosi con sé 43 vite, mentre l’altro è sì ancora in piedi ma è attualmente chiuso. E qui ad entrare in gioco è l’altra differenza tra le due opere: il ponte di Genova si avvia verso la sua ricostruzione, quello di Agrigento invece continua a sembrare un fantasma di cemento armato poco più a sud del centro storico della città siciliana.

Sotto il viadotto genovese la vita ha ripreso a scorrere: c’è un cantiere, ci sono gli operai, ci sono le gru e nei giorni scorsi l’ultimo impalcato del nuovo ponte è stato sistemato, tra gli applausi di un’Italia che ha bisogno, soprattutto in questo periodo, di sentirsi confortata da belle notizie e da nuove speranze. Sotto il viadotto agrigentino, continua invece a scorrere un inesorabile silenzio. Il blocco totale dovuto alle misure anti coronavirus, non ha portato a tangibili cambiamenti della situazione: nessuna macchina circolava prima del decreto governativo e, allo stesso modo, nessuna macchina ha continuato a percorrere questa lingua di asfalto costruita negli anni ’60. Gli unici rumori, tra i piloni dove i ferri del cemento armato sono inesorabilmente ben in vista, sono quelli della campagna circostante: a differenza di Genova, qui non ci sono operai, non ci sono gru, né tanto meno cerimonie con tricolori ben in vista.

Era il 16 marzo del 2017 quando agli imbocchi del ponte Morandi sono stati posti i divieti di accesso. Si è trattata di una decisione assunta dall’Anas dopo una serie di denunce da parte dei cittadini che lamentavano la presenza di evidenti criticità sulla struttura. In particolare, ad inizio anno, a mettere in luce la pericolosità dell’intera impalcatura è stata l’associazione ambientalista MareAmico Agrigento. Quest’ultima ha realizzato un video con il supporto di un drone, mettendo in evidenza ferri sporgenti dai piloni, infiltrazioni d’acqua e una situazione generale di certo non rassicurante.

Quelle immagini hanno fatto il giro su tutta la stampa locale ma anche sui social, suscitando preoccupazione e allo stesso indignazione fra i cittadini che, di conseguenza, hanno preferito percorrere strade alternative e più lunghe pur di sentirsi al sicuro. Ebbene, pochi giorni dopo, l’Anas ha deciso di “chiudere” il ponte vietandone il transito ad ogni mezzo. Ad oggi, nulla è cambiato, il ponte rimane chiuso e la ruggine ha invaso anche i segnali stradali che ne vietano l’accesso. A niente sono valse le sollecitazioni da parte del sindaco di Agrigento alle autorità competenti: sulla viabilità che interessa il tratto in questione sembra sia calato il sipario. Ed in questi giorni, la voce del primo cittadino Calogero Firetto è tornata a tuonare: “Genova festeggia il varo del nuovo viadotto che sostituirà il Morandi 623 giorni dopo il tragico crollo del 14 agosto del 2018. Meno di un anno di lavori. Oggi si parla di un modello per l’Italia, l’Italia che sa rialzarsi in piedi e ricominciare. Si pensi ora al futuro di un’Italia che non sia mai più a due velocità ". Ed ecco che il riferimento è stato diretto alla differenza fra come la situazione sia stata gestita al Nord con tempistiche veloci a differenza di quelle lente del Sud: “ Il governo-ha detto il sindaco- dovrà impegnarsi a far ripartire l’Italia a una sola velocità”.

L’appello del primo cittadino non è l’unico a farsi sentire, già lo scorso 25 gennaio i cittadini del territorio provinciale avevano fatto sentire la loro voce attraverso una marcia organizzata dalla curia arcivescovile, dalle sigle sindacali Cgil, Cisl, Uil e dall’associazione nazionale comuni. Una manifestazione pacifica per richiamare le attenzioni del governo centrale sui problemi che riguardano la precaria situazione delle infrastrutture stradali di tutto il territorio provinciale.

Oltre al ponte Morandi vi sono infatti altri collegamenti interrotti che aspettano da anni un intervento per migliorare la viabilità. Fra questi ad esempio la Strada Statale 640 Agrigento- Caltanissetta, i cui lavori per trasformarla in strada extraurbana principale sono iniziati nel 2009 e dovevano essere completati nel 2018. Dopo i primi obiettivi raggiunti, lo stop a causa della crisi della cooperativa che si è aggiudicata l’appalto dei lavori. Poi la visita sul cantiere da parte del presidente del consiglio Giuseppe Conte che fissava alla data del 2020 la consegna dei lavori. Ad inizio 2020 la smentita: il vice ministro alle infrastrutture Giancarlo Cancelleri ne ha annunciato il completamento nel 2022.

Ma vi è anche il viadotto Petrusa che collega Agrigento con Favara, interdetto al traffico dal 2016 e i cui lavori sono andati avanti a singhiozzo. In questi ultimi giorni, dopo lo stop forzato a causa dell’emergenza sanitaria, gli operai sono tornati al lavoro. Andando fuori dal territorio agrigentino e non molto lontani in termini temporali, lo scorso 8 aprile, il Gip di Messina ha disposto il sequestro su due cavalcavia dell’autostrada Messina-Palermo per il possibile rischio di un crollo.

Dalle indagini compiute dalla polizia stradale con riferimento ai due cavalcavia che collegano la città dello Stretto con il Capoluogo siciliano, sono emersi dei risultati preoccupanti perché è stata riscontrata una “diffusa corrosione delle bordature e delle banchine di bordo che metterebbe in pericolo la stabilità delle strutture portanti con il rischio di crollo sulla sede stradale sottostante”. Dunque le infiltrazioni di acqua derivanti dalla non buona manutenzione dei giunti, sono capaci di mettere a rischio la stabilità e quindi la tenuta dei due cavalcavia. Motivo per il quale, anche in questo caso è stato necessario intervenire con un provvedimento di carattere preventivo per la sicurezza.

Vi è ancora il caso dell’autostrada Palermo–Catania. Qui, nel pomeriggio del 10 aprile 2015, una frana ha tranciato un pilone del viadotto Himera nella carreggiata verso Palermo. Fortunatamente non ci sono stati danni su persone, ma dopo cinque anni, i lavori non sono stati consegnati creando non poche difficoltà su un’arteria di grande rilevanza.

Il problema però riguarda tutta Italia: la viabilità nel nostro Paese non gode di buona salute ed opere delicate, come viadotti e gallerie, presentano gravi problematicità. A partire da altri ponti progettati dalle mani di Morandi, i più adocchiati dopo il crollo di Genova. E non certo per demeriti ascrivibili unicamente ad un ingegnere che, negli anni del dopoguerra, è stato considerato tra i più esperti a livello globale. Il vero problema è la manutenzione: le opere costruite interamente con il cemento armato, proprio come il Morandi di Genova e di Agrigento, necessitano di opere manutentive costanti. Cosa che in realtà, specialmente per quanto concerne l’opera siciliana, non è mai avvenuta.

Per questo, ad esempio, si guarda con molta attenzione alla situazione del ponte Bisantis di Catanzaro, l’opera che, nel momento della sua inaugurazione, costituiva il secondo viadotto con arco unico in cemento armato più grande in Europa. Subito dopo il crollo di Genova, in tanti hanno rivolto il proprio sguardo a questo ponte che, tra alcune crepe e criticità, non ha mancato di destare preoccupazione. Anche se i tecnici hanno sempre sottolineato che il Bisantis non presenta attualmente particolari criticità. Risalire la penisola vuol dire scontrarsi con un lungo elenco di opere a rischio, chiuse oppure incompiute. Dal sud al nord, passando sia per le autostrade che per le strade secondarie. C’è un’inchiesta della procura di Genova a sottolinearlo: almeno venti sarebbero i ponti da guardare con molta attenzione, tra questi anche il Paolillo sulla Napoli – Canosa ed il Moro sulla Bologna – Taranto.

Di recente, il crollo del ponte sul fiume Magra in Toscana ha riacceso i riflettori sulle condizioni infrastrutturali della nostra viabilità. Ma immagini come quelle di Genova, contraddistinte da cantieri ben avviati e da opere in breve tempo consegnate, appaiono in realtà molto rare. Il caso del Morandi di Agrigento e degli altri cantieri non avviati oppure mai finiti lo dimostrano.

La verità è che le speranze di un’Italia che vuole tornare a correre saranno destinate sempre a scontrarsi con un sistema infrastrutturale vetusto, contraddistinto da opere non adeguate o mai portate a termine

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