L'ora dei passi indietro

Vladimir Putin, che non è uno sciocco, si sta accorgendo a sue spese che la campagna d'Ucraina gli sta costando cara. Troppo

L'ora dei passi indietro

Vladimir Putin, che non è uno sciocco, si sta accorgendo a sue spese che la campagna d'Ucraina gli sta costando cara. Troppo. Il copione che aveva in mente ha preso una piega diversa. Pensava che l'operazione si concludesse in 48-72 ore, con i carri armati russi che entravano trionfanti a Kiev, l'esercito ucraino che cambiava bandiera e il premier Zelensky che veniva deposto. Invece, per lui tutto è andato storto: quella che doveva essere una passeggiata si è trasformata in una guerra patriottica; addirittura ha forgiato, se ce ne fosse stato bisogno, l'Ucraina, secondo la storiografia del Cremlino solo un'invenzione geografica, in una nazione; Zelensky da attore comico si è trasformato in un novello Churchill; un Occidente, distratto e diviso, ha ritrovato se stesso; l'Europa è tornata ad armarsi davvero dopo settant'anni; e lo Zar, anche se riuscisse in una settimana ad espugnare Kiev e ad eliminare fisicamente l'avversario, a maggior ragione sarà trattato come un paria, espulso dalla comunità internazionale politica, economica e, addirittura, sportiva.

All'Ucraina poteva andare peggio, poteva essere occupata in un baleno. Non è successo, ma se le andrà bene riuscirà ad allungare i tempi del conflitto; in caso contrario, si ritroverà sotto i vessilli dei Romanov, magari con un governo fantoccio, nel giro di una settimana. In entrambi i casi pagherà un conto salato in vittime, in danni economici e, nel caso peggiore, in democrazia. Per cui pure il governo di Kiev dovrebbe essere interessato ad individuare il sentiero di un compromesso.

Più rigido, per ora, appare l'Occidente: vorrebbe tenere Putin sulla brace, minarne l'immagine dentro e fuori i confini della Russia, approfittando dei suoi errori madornali e delle sue contraddizioni. Non si comprende neppure quel «no» immediato di Bruxelles ad un ingresso dell'Ucraina nell'Unione Europea. Quell'opzione poteva restare sul tavolo senza risposta, come ipotesi: anche perché non ha senso fornire armi, aiuti economici e sanzioni e privare Zelensky di uno sbocco politico, quando Putin parla di neutralità, cioè immagina uno «status» come quello di Finlandia e Svezia, nazioni confinanti o vicine alla Russia che, per l'appunto, non sono nella Nato ma nella Ue. L'Ucraina può rinunciare all'Alleanza Atlantica ma non può privarsi di una copertura internazionale.

La verità è che in una situazione così drammatica in cui è stato rispolverato il vocabolario degli anni '60, tirando in ballo la bomba atomica, tutti i contendenti e i protagonisti in campo dovrebbero, meglio prima che dopo, immaginare una mediazione che guardi più al futuro che al passato. E una mediazione, per essere solida, imporrà a tutti dei passi indietro: la trattativa sotto le bombe a Putin serve a farne meno.

Insomma, tutti dovranno rinunciare a qualcosa: i russi dovranno riportare i loro carri armati dentro i loro confini; il governo di Kiev sarà costretto a togliersi di testa l'idea della Nato, dovrà accettare quel processo di «finlandizzazione» vaticinato dal saggio Henry Kissinger e, probabilmente, dovrà rinunciare alla Crimea e forse al Donbass. E l'Europa? Anche l'Europa sarà cambiata da questa crisi. È diventata un tassello della pace, per cui dovrà assumersi le sue responsabilità, visto che non può chiedere sempre aiuto allo zio Sam.

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