"Ero depresso e disperato. Un uomo senza lavoro perde la dignità. Certi stati d’animo alla lunga ti portano a gesti estremi. Avevo tirato cocaina due giorni prima di partire per Roma". Si racconta dal carcere di Rebibbia Luigi Preiti, l’uomo che il 28 aprile 2013 sparò a due carabinieri davanti a Palazzo Chigi durante l’insediamento del governo Letta.
"Ero un'altra vittima della crisi", spiega a Repubblica, "La mia vita era un disastro: senza lavoro, senza soldi, non potevo vedere mio figlio. Quello che ho fatto è assurdo, la disperazione ti porta a fare cose pazzesche. Ho agito da solo, senza indicazioni di nessuno. Sono pentito". Al giornalista che gli chiede quali erano le sue intenzioni risponde: "Li volevo colpire anche se non sapevo bene in che modo. Non avevo un piano. I nomi? Berlusconi, Bersani e Monti. Ognuno aveva delle colpe. La destra poteva cambiare le
cose e non l’ha fatto. La sinistra non faceva altro che litigare". In carcere Preiti ha ricevuto diverse lettere di solidarietà "da ogni parte d’Italia: anche da liberi professionisti, medici, avvocati, imprenditori strozzati dalla crisi", dice, chiedendo perdono.
Perdono che "non è mai stato preso in considerazione" da Martina Giangrande, figlia del brigadiere Giuseppe ferito durante la sparatoria e reso invalido a vita.
"Una persona si può dare tutte le giustificazioni che vuole, ma poi rimane l’atto che uno ha fatto", dice oggi la ragazza, "Per colpa di Preiti, io da 16 mesi vivo in ospedale con mio padre, a lottare assieme per una vita quanto meno dignitosa".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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